Ricordo agile, veloce, ma potente. Sembra di vederlo Mario, col suo immancabile doppiopetto scuro (eleganza d’altri tempi), fiero, in posizione di combattimento quando parla della Sardegna e dei sardi, delle loro sofferenze, delle loro solitudini, mai per fare lamentazione, sempre per proporre orgogliosamente impegni da assumere, obiettivi da raggiungere, istituzioni da coinvolgere.

Le sofferenze del popolo sardo Mario sembrava tenerle scolpite nell’anima, ma dalla sua bocca non veniva mai neppure un filo di rancore, di ricerca di vendetta, mai da lui, che pure venne definito da De Mita “mezzoterrorista”, un accento violento o sopra le righe.

Lui aveva sempre la mano tesa perché capiva che un popolo si libera insieme agli altri popoli, che una istituzione si affranca insieme alle altre istituzioni.

In Mario l’ottimismo dell’intelligenza era sempre operante. E Anthony lo fa trasparire in ogni pagina del suo bel libro: la visita negli States e la consapevolezza che è la conquista dei mercati a dare risposta alla fame di lavoro dei sardi, la centralità mediterranea della nostra isola come punto naturale di raccolta e smistamento delle merci per l’Europa, la creazione della flotta sarda come mezzo per realizzare questo sogno.

Niente forse più della sua visione del mare ci svela la sua anima. “Il mare unisce“, diceva spesso. “E’ il mare la risorsa più grande dell’isola perché la collega al resto del mondo”, gli ho sentito ripetere più volte. E qui ecco la sua incondizionata apertura alla conoscenza, alle nuove tecnologie, al modo nuovo di comunicare, di essere distanti e vicini al tempo stesso, in un mondo in cui tempo e distanze cambiano segno rispetto al passato.

La sua concezione del mare ci dice quanto lontano sia stato Mario dall’indipendentismo rozzo, de bidda, o dell’Isola intesa come bidda più grande. L’indipendentismo per lui era innazitutto capacità di sapersi orientare in questo vasto mondo e nel saper in esso ritagliarsi un presenza genuina nelle relazioni con gli altri.

Certamente, questa sua visione aperta implicava un diverso assetto istituzionale, di tipo federale. Il sardismo  – diceva ad ogni piè sospinto – è internazionalismo, ha un orizzonte sovranazionale. E’ lo Stato di matrice ottocentesca il nostro nemico, è questa struttura, oppressiva di tanti popoli, da abbattere in favore di organismi sovranazionali, espressione dei popoli.

E’ lì che anche il popolo sardo può trovare in posizione di pari dignità con gli altri la sua liberazione economica e istituzionale. Chi cercasse in Mario Melis un moto di chiusura, non lo troverebbe mai.

Dal libro di Anthony vien fuori con naturalezza la forza anzitutto morale di quest’uomo, forza che si fondava su due pilastri saldi: l’onestà e la sua dedizione totale alla Sardegna e ai sardi. Chi ha avuto l’avventura di conoscerlo e farci qualcosa assieme ha incontrato certo molti probelmi, per la sua spigolosità, le sue ansie, le sue fissazioni, ma lo ha subito e definitivamante amato per questa sua appassionata dedizione alla causa e la sua libertà.

Mario era un uomo onesto intellettualmente e libero. Ecco perché si sentiva anche un liberatore. Questo spiega perché il PCI lo volle eleggere in Senato quando il PSd’Az era ormai scomparso e perché lo sostenne senza riserve nel periodo della Presidenza. E, in fondo, anche Mario aveva chiara consapevolezza che era la squadra e il gruppo comunista che reggevano il suo sforzo.

Eppure, nonostante questo legame e la riconoscenza sempre dichiarata, lui fu sempre autonomo, sapeva che il suo rapporto coi comunisti era una relazione fra liberi.

Anthony, con sapienti pennellate, ci mostra anche le radici di questa sua formazione libertaria. La famiglia Melis e i suoi primi maestri, Tittino e Pietrino, fratelli maggiori, di venti e quindici anni più grandi, verso i quali ebbe una devozione bella e rara. Tittino, da studente universitario a Milano, frequentò gli ambienti antifascisti, fu arrestato con Ugo La Malfa e mantenne sempre una spavalda ostentazione di questa sua libertà, Pietrino, uomo di cultura sopraffina.

La Giunta Melis, a detta di molti, è stata la più innovativa e produttiva nella storia autonomistica. Non c’è campo in cui non abbia introdotto novità e stimoli (dalla tutela ambientale a all’urbanistica, dalle istituzioni all’economia), frutto di una immissione di forza e di idee sopratutto del gruppo comunista.

Ma il lavoro della squadra non avrebbe raggiunto quei risultati senza lo stimolo di un presidente visionario, che si sentiva ed era il Presidente dei sardi.  Sopratutto sarebbe mancato quello sfondo ideale, che colloca Mario Melis fra i protagonisti di un’idea di sardità che affonda nella storia dell’Isola.

Bisognerebbe approfondire: Mario Melis evoca suggestioni e visioni liberatorio che trovano la loro lontana matrice nelle idee-forza dell’epopea angioyana e poi coi Giovanni Battista Tuveri, Giorgio Asproni e giù giù fino al sardismo maturato nelle tincee del capitano Lussu,  al Gramsci federalista giunge fino a noi.

E a noi pone un quesito: lo Statuto speciale ha raccolto questo lascito? Lo ha tradotto in Costituzione vivente? Bene. Mario Melis è lì a dirci che ci vuole un ripensamento, che ci vuole altro. Mario c’invita a osare ancora.