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Ho critiche ferme, motivate e costruttive da fare nei confronti della campagna di affissioni decisa in queste ore dal Comune di Cagliari, immagino con l’intento di spronare i cittadini a stare casa, secondo le prescrizioni sul contenimento del contagio da Covid19.

Al di là della personale percezione sul cattivo o buon gusto di quei messaggi che campeggiano per le vie della città, al di là dei preconcetti da tifo da stadio (“L’ha fatto Truzzu e quindi è una schifezza” o “L’ha fatto Truzzu e quindi è una figata”) esistono evidenze scientifiche (perché la comunicazione è ormai una Scienza, anche se i politici sardi di destra e sinistra non se ne sono accorti) che rivelano come quel tipo di messaggio, in questo momento e in questo luogo, ha scarse probabilità di essere efficace e raggiungere l’obiettivo previsto e, più probabilmente, rischia di diventare addirittura controproducente.

La caratteristica principale dello shock advertising (il cui “padre” italiano è il fotografo Oliviero Toscani) è quello di porre enfasi sugli aspetti negativi che possono derivare dalla mancata accettazione delle sollecitazioni proposte.
Questo tipo di pubblicità ha l’obiettivo di suscitare, in chi la guarda, paura, timore, apprensione che il più delle volte può dare luogo ad ansia.

Ancora: è correlato ad altri due tipi di pubblicità “shock”.

La “fear arousing appeal” e la “Yobbo advertising”. La prima fa leva sulle paure delle persone e sul senso di colpa derivante dalla consapevolezza dell’inosservanza delle raccomandazioni contenute nella pubblicità.
La seconda punta a provocare e scuotere la sensibilità umana attraverso immagini oscene, volgari, ripugnanti o blasfeme.

I messaggi impressionanti e sconvolgenti vengono utilizzati nella convinzione che un’ulteriore elaborazione avverrà solo se la pubblicità sarà notata.

Spesso questo tipo di pubblicità, utilizzata anche nel sociale, ha portato risultati positivi.

Più quando ha cercato di spingere le persone a schierarsi a favore di comportamenti virtuosi per la società ma che non avevano un riflesso immediato e cogente sulla propria vita (campagne a favore della tutela dell’ambiente, contro le stragi stradali del “sabato sera”, contro le morti per droga o Aids), molto meno quando ha cercato di prendere di petto cattive abitudini numericamente più diffuse e incidenti sulla quotidianità delle persone.

Come, ad esempio, la lotta al fumo. Esistono studi scientifici, infatti, che hanno dimostrato come le immagini choc ipocritamente fatte stampare dallo Stato (che sul tabacco e i suoi derivati incassa fior di accise) siano, da un lato, passate quasi inosservate e, dall’altro, abbiano provocato più effetti contrari che positivi.

Per chi volesse approfondire, suggerisco la lettura del libro “Neuromarketing”, di Martin Lindstrom: ci troverete un’argomentata descrizione di un esperimento condotto su 2081 volontari che ha portato al seguente risultato: le foto dissuasive sui lati, davanti e dietro ai pacchetti di sigarette non avevano alcun effetto restrittivo della voglia di fumare. Zero.
In altre parole tutte quelle fotografie scioccanti e i milioni in campagna contro il fumo avevano in realtà stimolato intensamente un’area del cervello dei fumatori, il nucleus accumbens, detto anche centro del desiderio, che si attiva quando l’organismo desidera qualcosa. Fumo compreso.

Applicando quella scoperta al momento attuale – in cui gran parte della cittadinanza segue le prescrizioni per senso del dovere o obbligo, ma nel suo inconscio le avverte come ingiustamente limitanti di un senso di libertà che è in noi insito ormai sin dalla nascita – il messaggio choc scelto dal Comune di Cagliari per cercare di abbattere anche la residua resistenza di una minoranza di “furbetti” (o stupidotti) rischia di creare – assieme al rifiuto, al disagio, alla polemica che già registriamo – una sorta di reazione contraria, che potrebbe originare proprio dalla “reazione” o dal “risveglio” del nucleus accumbens. 

Titillare quella parte del nostro inconscio che ha bisogno del “proibito”, del “rischioso” e del “libero” potrebbe dunque rivelarsi altamente controproducente.

Al sindaco Paolo Truzzu faccio una domanda, prima di dare un suggerimento non richiesto: prima di dare il “visto si stampi” è stata fatta una attenta valutazione, avvalendosi di scienziati della comunicazione, se non di esperti comunicatori, o si è proceduto solo (certamente in buona fede) sulla base di un istinto “pubblicitario”?

Se sì, può cestinare senza remore queste mie righe in libertà.

Se no, è ancora in tempo per ripensarci e rimuovere quei cartelloni.

In politica tutti sono capaci di sbagliare, ma solo i migliori hanno il coraggio di rimediare.