Subra Cortes Apertas semus isvilupende unu ghetu
indurcadu de sa realidade chi imbetzes no est pro nudda furriada in bonu, e in custu fatzo riferimentu a unas cantas chistiones de su “fenòmenu”.
Si abaidamus sa chistione a manera antropològica, semus in cara a unu trastocamentu de sa realidade, bastante artifitziosu, punnadu a torrare a bogare a campu culturas antigas, e sentidos de apartenèntzia chi annu cun annu sunt semper prus istracos e minetzados dae sa polìtica regionale atzentradora.
Est tristu a abaidare s’ispetàculu de Barbaritzinos chi semper prus privados de servìtzios fundamentales, agatant profetosu e dignitosu a si nche fàghere pònnere in mesu a custu giogu. Faeddo de fintzione, a vantàgiu de su turismu ispetàculu, fatu de aparèntzia e fintzione.
Sa chistione econòmica est unu capìtulu galu de prus ispantosu, ca si mirat in silèntziu a sa mistificatzione de s’ospitalidade, cun cuintales de matèrias primas imbennidas in su putzu mannu e baratu de sa globalizatzione, cuintales de pratos, culeras e furchetas de plàstica, petza e sartitza de continente, binu iscarsu bèndidu a isfusu, fileras longas de gente pro intrare in unu còmodu.
S’isetu messiànicu de un’eventu chi addurat duas dies, unfrat sas isperas de comunidades pòberas de dinari e ispìritu, semper prus presoneras de su mecanismu de s’assistentzialismu, chi resèssent a agatare consolu dae unu riu de gente isfainada chi benit a nos bisitare una borta a s’annu sena nd’ischire mancu su pro ite.
Antis de fàghere sagras e festas, diamus dèpere torrare a divènnere produtores, torrare a fàghere cosas bonas, e, petzi pustis custu passu, mutire sas trumas de sos mandigadores, est una chistione de ètica e onestade intelletuale.
Caro direttore niente di più vero, anche se al di fuori di tale circuito esistono realtà che effettivamente producono localmente tutto ciò che espongono, il problema sta nel fatto che andare a visitare una qualsiasi tappa di Cortés apertas oggi fa tendenza, tali paesi oltreché di persone interessate al mero approvvigionamento enogastronomico, si riempiono a tarda sera di orde di giovani, mica tanto affascinati dai prodotti locali presenti bensì dal più glamour ritrovo in piazza a consumare ininterrottamente fino alla mattina ettolitri di birra….anche questo però è progresso..
Però non dobbiamo cadere nell’ errore di generalizzare ma sarebbe opportuno enfatizzare le peculiarità e le risorse che contraddistinguono i nostri territori.
Pienamente in sintonia con questa riflessione……apro la mia corte, per far conoscere chi sono, la mia ospitalità, la mia cultura, il mio saper fare….e perché no; vendere anche i miei prodotti!! Ma se non produco? Cosa vendo? Quindi chiamiamo altri per vendere, noi visto che abbiamo poco…. Ci divertiamo, di divertiamo tanto tutta la notte sino alla sbronza!!! Se questo è crescita culturale ed economica…!!! Riflettiamo gente riflettiamo!
L’articolo e le considerazioni sono interessanti.
E’ chiaro che non bisogna generalizzare.
Prendiamo l’esempio di Mamoiada, il primo paese ha introdurre l’obbligo del Biocompostabile, ad attivare un servizio di raccolta rifiuti e pulizia delle strade, ad informare i visitatori e a garantire la qualità e la provenienza dei piatti somministrati.
Ovviamente si è arrivati a questi risultati dopo anni di battaglie, sensibilizzazione e promozione. Non dico che sia tutto rose e fiori, ma non è nemmeno un mercato.
Non altrettanto si fa in altri paesi purtroppo dove pur di organizzare la manifestazione si invitano ambulanti e commercianti da tutta la Sardegna.
Ultima cosa abbiamo dato moltissima attenzione alle attività regolarmente iscritte alla Camera di Commercio di Nuoro che poi alla fine sono il vero motore trainante del Circuito.
Vogliamo parlare di ristorazione in nero, cucine non a norma o di crepes alla nutella servite in costume sardo?
Si va be, ma se non siete barbaricini (ai quali è doveroso chiedere di fare severa autocritica con adozione di provvedimenti appropriati) perchè non mi fate la cortesia di staccare la spina? Perchè continuate a venire sapendo tutto quello che state condividendo? E’ da anni che contesto, garbatamente e non, il modo distorto di mandare avanti “il falso” (salvo rare eccezioni ben delineate, sia chiaro). Lo contesto perchè le ho viste nascere, ci ho preso parte, e quando sono nate “dovevano essere altro”. Non dovevano essere feste tradizionali e nemmeno sagre. Dovevano essere occasione di ospitalità e di offerta sincera di prodotti genuini, fatti in casa. Attese tradite. Sono diventate bolle di sapone colorate. Fatele esplodere e facciamola finita. Ne avete coraggio per farlo? Non credo, perchè l’anno che viene, sono pronto a scommettere che continuerete a frequentare le piazze, per noia, e a lamentarvi per abitudine.Purtroppo a noi toccano solo le briciole e pur di raccoglierle non siamo in grado di saper fare le cose per bene.. I soldi all’ingrosso si fermano a Cagliari e dintorni. Provate a farle voi, professionisti del tutto, da quelle parti, che vengo a vedere.. Io il coraggio di staccarvi la spina lo avrò certamente. Appartengo alla scuola del “buona la prima”.. Per la seconda non c’è tempo… tranquilli…
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In sintonia con il direttore, ma la cosa che purtroppo mi fa rabbia, è che da “cortes apertas”, progetto nato per promuovere a livello di turismo agro alimentare le zone interne, si è passati, in molti paesi, a “october fest” in sardo.
Il fatto è che se io produco formaggio per i miei paesani, e ogni anno aumento la mia produzione perchè tutti lo apprezzano, per quale motivo al momento di cortes devo dichiarare/autocerticare che lo produco in un luogo idoneo, con le pareti lavabili, tutta l’attrezzatura sterlizzata, con la cantina per stagionare a norma etc. etc.? allora non è più artigianale, ma devo fare un minicasificio, se faccio il minicasificio il formaggio non è buono come quando lo faccio in montagna nell’ovile o a casa nel mio garage (naturalmente pulito). Oppure se produco vino, che faccio da decenni per consumo familiare, o per i paesani, non posso venderlo perchè non sanno se ho utilizzato firtofarmaci e/o sostanze nocive per il trattamento nelle vigne, ma ne vogliamo parlare??
Senza andare molto lontano, qualche giorno fà è andato in onda un servizio su una rete RAI, che ci mostrava tutti i trattamenti che venivano fatti nelle vigne super pubblicizzate di “prosecco” del Trentino, loro possono fare trattamenti tre volte a settimana e vendere il loro prodotto in tutto il mondo, noi che ne facciamo tre/cinque in un anno ci dobbiamo preoccupare dei residui di sostanze e non possiamo vendere il nostro vino, per carità, demagogia pura.
Diverso discorso per la carne di suino, sono d’accordo per il controllo, dato che siamo in zone a rischio peste suina, ma una volta controllata, bisogna poter vendere tutti i prodotti, non uno si e l’altro no.
Poi per chi ha commentato parlando delle cucine non a norma, volevo solo dire che in tantissimi “punti ristoro” le cucine sono più a norma di qualche ristorante blasonato, o qualche ristorante “cinese”, senza nessun disprezzo per i cinesi, perchè poi bisogna saper accudire tutti i visitatori e dargli un pasto caldo, altrimenti i primi a dire che non c’era posto per mangiare siete proprio voi. Speriamo che le cose si possano fare, come da idea iniziale di cortes, altrimenti si và verso il Mac Donald “autorizzato” e pieno di roba industriale. Saluti e Buone Cortes a tutti.
è questione di “brand”, e di marketing fatto come si deve, “la nostra roba è buona” lo dicono tutti, anche quelli del McDonald, e finche’ ci sarà gente che non capisce cosa sia il marketing strategico (non quelle schifezze di pubblicità che vediamo) non cambierà nulla.
ripensiamoci, ripensiamo a noi, a chi siamo e cosa abbiamo di buono e differente da offrire -e di cose ne abbiamo- pianifichiamo, progettiamo e solo dopo, coscienti e preparati, offriamoci agli altri.
articolo più che veritiero!! Sono stato a Mamoiada la settimana scorsa, ho mangiato di tutto e senza nessun ritegno. Ma la mia sensazione è stata proprio quella che mi stessero “Coglionando” con la storia dei prodotti locali. Non metto nemmeno in conto il grado di saper fare ospitalità di alcuni operatori, davvero a livelli bassissimi, es. “Stand 145″ 3 pezzi di porchetto di bassa qualità, pagati 10€, mangio i primi 2 e mi rendo subito conto che quei ricordi e quel gusto di quando ero bambino, ormai sono belli che andati, prendo in mano il terzo pezzo ed era palesemente crudo (Maiale crudo mica Cavallo) faccio notare alla signora alla cassa che quel terzo di piatto non si poteva mangiare, la signora guarda la carne e senza batter ciglio esclama ” Per me la cottura è ok” e si gira verso il suo nuovo cliente pronta a incassare altri 10 euro per un piattino di maiale. Auguri!
Io da non sarda che vive in Sardegna concordo… vengo spesso in montagna…ma fuori dal contesto di Cortes Apertas…avrei sempre voluto andarci…ma temo appunto le orde umane…la massa che poi puntualmente vanno di pari passo con l offerta di prodotti globali…non genuini… di false promesse. Non è quello che si va a cercare…ma la genuinità…ma capisco anche che non sia facile offrirla in zone, dove il resto dell’anno pochi ci vanno. Non ho la soluzione ma serve un piano concreto di rivalutazione di quei bellissimi paesi dell’entroterra