L’espressione “percezione del rischio” nasce dal fatto che ogni soggetto lo misura in base ai suoi personali schemi cognitivi che dipendono da diversi aspetti tra i quali i seguenti:

i valori per lui sono importanti;
le informazioni disponibili;
la capacità di interpretare le informazioni disponibili;
la disponibilità ad ascoltare e seguire indicazioni provenienti da altri che per ruolo sociale ed esperienza possono costituire un utile riferimento.

La percezione dipende pertanto da una valutazione personale sia della probabilità che un evento accada, sia delle conseguenze chequell’evento può generare in termini positivi e/o negativi su di sé e sugli altri.

Da qui scaturisce, spesso, una distorsione nel valutare i rischi derivanti da situazioni di pericolo come quelli riguardanti la guida di un’auto in stato di ebbrezza o, per esempio, quelli derivanti dalla diffusione di un virus come il COVID-19.

Eppure, nella seconda situazione non dovrebbe esistere una discrepanza tra percezione soggettiva e valutazione oggettiva dal momento che:

i dati mostrano una crescita esponenziale sia nella diffusione del virus che nel numero dei decessi (https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/situation-reports/20200314-sitrep-54-covid-19.pdf?sfvrsn=dcd46351_2)
i mass media stanno dando al fenomeno una grande attenzione che difficilmente vede qualcuno totalmente estraneo a questa vicenda.

Al di là delle reazioni più o meno isteriche o, al contrario, di chi invece reagisce pensando di essere estraneo al fenomeno, ciò che ancora non è invece sufficientemente chiaro a troppe persone sono le conseguenze che questa vicenda lascerà sulle nostre vite.

Quelle più immediate e visibili appartengono alla sfera degli affetti, perché, purtroppo, ci saranno molte famiglie nel mondo che vedranno una parte dei propri cari passare a miglior vita prima del previsto. Quanto sta accadendo in queste settimane nelle province lombarde è semplicemente deprimente: da gennaio a oggi il quotidiano di Bergamo ha visto le pagine del giornale dedicate ai defunti passare da 1 a 10.

Fino a qui, più o meno, ci arrivano tutti. Meno facile, soprattutto per alcuni, è immaginare le conseguenze socio-economiche di quanto sta accadendo, eppure sono proprio queste che dovrebbero indurre ciascuno a riflettere sulla sconsideratezza dei propri comportamenti individuali tesi a non rispettare l’obbligo della distanza sociale come mezzo di interruzione della diffusione del virus.

Sul piano socio-economico, infatti, l’obiettivo che collettivamente dovremmo tutti assumere è quello di abbreviare quanto più possibile la durata della fase acuta della diffusione del virus, non solo per ragioni sanitarie legate alla capacità del sistema sanitario di far fronte alle emergenze, ma anche per consentire a chi ora ha dovuto interrompere il proprio lavoro di riprenderlo quanto prima.

Questa pandemia, infatti, oltre che ad aver acuito il conflitto generazionale tra giovani e anziani (perché la vita dei secondi è condizionata dai comportamenti dei primi cui il virus sembra non provocare effetti mortali) ora acuisce anche il conflitto tra le fasce di coloro che lavorano con alle spalle uno stipendio fisso e quelli il cui lavoro dipende dai ricavi di vendita di beni e servizi. Giustamente questi ultimi sono i più preoccupati, così come lo sono tutti quelli il cui stipendio dipende ugualmente dalle vendite della propria impresa.

Giustamente questi ultimi sono in attesa di provvedimenti del Governo volti a sterilizzare le scadenze fiscali e previdenziali perché se non si incassa come si può provvedere ad assolvere agli impegni? Come si possono pagare gli stipendi ai propri dipendenti se non si hanno ricavi? Come può un barbiere, un ristoratore,  ecc. portare a casa i denari per sfamare la propria famiglia se non incassa?

Ecco, queste sono domande che ancora in troppi non si pongono. Eppure dopo che la buriana di questa vicenda sarà passata, questi saranno i problemi. Non vedremo le macerie egli edifici distrutti dalle bombe della seconda guerra mondiale o di quelle che le cronache giornalistiche portano nelle nostre case dal medio orienteo da altre zone del pianeta in cui per motivi economici e religiosi la gente si uccide a vicenda. Vedremo però altre macerie di tipo sociale in cui persone alla fame rischiano di dover andare a rubare per soddisfare il legittimo desiderio di mangiare, vedremo l’odio crescere a dismisura verso chi, protetto dallo stipendio (forse), continuerà a vivere come se nulla fosse accaduto.

Per me queste sono ragioni più che sufficienti per essere tutti rigorosi in questo momento e, giustamente, chi non lo è deve essere messo nella condizione di rispettare gli altri se non ha rispetto per se stesso come dimostra anche questa notizia di oggi (https://www.youtg.net/primo-piano/23824-gruppo-di-minorenni-in-giro-a-quartu-arriva-la-polizia?fbclid=IwAR3fNTI6Pi2fRKikz9Hml8bjWQ2LODkH8eHwGzGHd4C0Bczu7ryVAF7mpCg).

Per chi come tanti di noi ha avuto la fortuna di nascere e crescere in un contesto di libertà è difficile accettare psicologicamente l’idea di una prigione volontaria, eppure oggi questa è l’unica soluzione per evitare in futuro non lontano conseguenze ben più gravi, perché già così il mondo che verrà, piaccia o meno, sarà molto diverso da quello finora conosciuto.

Il problema è quello non di impedire il cambiamento ma di orientarlo verso condizioni desiderate che io vorrei più eque e solidali per tutti.