Mario Puddu, ingegnere di 44 anni, è dal 2014 sindaco di Assemini, uno dei primi eletti sotto le insegne del Movimento Cinque Stelle. Ha coordinato la campagna elettorale sarda per conto del suo partito e ora è in corsa per la nomination a candidato presidente della Regione.

Il confronto sul governo è arrivato al momento decisivo. Qual è la soluzione che lei giudica più probabile?

Difficile sapere ora come si risolverà il grande rebus. Di certo abbiamo offerto una grande disponibilità e flessibilità per trovare le soluzioni. Ci sforziamo per elaborare programmi condivisi da contrattare con le altre forze politiche. Il metodo potrà aiutare moltissimo per riuscire a fare un governo nel pieno delle funzioni. Cinque anni fa ci accusarono di aver chiuso ogni porta e ci criticarono; adesso stiamo dialogando e veniamo criticati: ma il nostro comportamento non fa una grinza con quanto dichiarato in campagna elettorale.

Se questo scenario dovesse verificarsi, cosa è lecito aspettarsi di concreto, dal punto di vista dell’azione legislativa ed esecutiva?

Il M5S ha ottenuto il suo successo elettorale impostando un programma molto pragmatico, realizzabile con le leve già disponibili dell’azione pubblica. Se si può sintetizzare al massimo quel che vogliamo fare, molte risorse ad oggi congelate in spese improduttive saranno spostate verso investimenti ad alta resa in favore di ricerca, lavoro, industria, scuola, qualità della vita dei cittadini. Con meno burocrazia, meno leggi, e con una tassazione più razionale e rispettosa del mondo del lavoro.

È corretto dire che la prova del governo rischia di cambiare la natura originaria del Movimento?

Il grande equivoco di questi anni presso molta stampa e molti politici è che il M5S sia “antipolitica”. Non hanno capito che fin dall’inizio è stato invece un movimento fortemente orientato a misurarsi con il cambiamento, dunque con il governo della realtà. Siamo partiti dai comuni e non è cambiata la nostra natura. E oggi possiamo governare regioni e l’intera Repubblica mantenendo la nostra forte vocazione a voler cambiare profondamente la cosa pubblica. I cittadini lo hanno capito più del potere dominante, al quale è rimasta appiccicata l’etichetta della vera antipolitica.

Il futuro del bipolarismo italiano è quello Di Maio-Salvini? E in Sardegna, nel caso, che accadrà?

Intanto non esiste più il bipolarismo (sono semplicemente i rappresentanti delle due forze politiche ritenute vincitrici il 4 marzo), ma una pluralità più estesa di forze politiche: è una tendenza riscontrabile in tante parti d’Europa, dove il sistema politico è diventato molto più frammentato. E perfino dove il sistema elettorale ha consentito che un progetto politico prendesse la maggioranza, come in Francia, questo è avvenuto con una scomposizione dei vecchi schemi. In Sardegna oggi siamo la forza più rappresentativa, e i partiti tradizionali cercheranno di riorganizzarsi come possono, ma in mezzo a tante loro divisioni e contraddizioni.

Le elezioni regionali del Molise, come già era accaduto nel Lazio e in Sicilia, hanno confermato il fatto che gli elettori votano in maniera differente, a seconda della circostanza. Questo vi preoccupa, nell’ottica delle Regionali sarde?

Sappiamo che si gioca la partita con regole dissimili, la legge elettorale non ci aiuta, nel contesto regionale c’è un peso minore del voto di opinione e un peso maggiore dei notabili acchiappavoti e delle vecchie clientele. Cose che tenderebbero a diminuire la presa del M5S.
Compito nostro sarà rendere il nostro messaggio credibile e fattibile
Noi siamo in campo per vincere. Ma siamo ben consci, e lo eravamo anche prima del voto molisano, che nel febbraio 2019 si partirà dallo 0 a 0.

Il Movimento ha una sua idea di Sardegna? O, nel caso, la sta costruendo?

Vogliamo ridefinire la “missione” della Sardegna nel Mondo. Ci chiediamo: come arriverà la Sardegna ai prossimi decenni? Con quale tipo di autogoverno? Con quale idea di società e territorio? Non è più tempo di aggiustamenti poco ambiziosi. Abbiamo molto rispetto per chi fa una battaglia per far riconoscere l’insularità nella Costituzione. Ma vogliamo puntare a una Sardegna in cui essere isola non sia un limite fisico bensì il modo naturale di essere collegati al mondo: il pianeta è pieno di isole che non si sognerebbero mai di parlare di insularità. Non ne hanno più bisogno perché hanno conquistato abbastanza potere per governarsi e collegarsi a tutte le comunità umane. Dobbiamo rivendicare tutti i mezzi e i poteri che siano più utili e vicini al popolo di Sardegna.

Il deficit di vero rinnovamento delle classi dirigenti è quel che più potrebbe frena la credibilità delle proposte della classe politica sarda. Come pensate, concretamente di superare questa difficoltà?

Lo Statuto ha settant’anni e li dimostra tutti. Da un lato non è stato sfruttato abbastanza (e questa è una colpa grave delle classi dirigenti che ne hanno fatto esaurire lo slancio). Dall’altro occorre ridefinire e rinegoziare in via istituzionale il peso della Sardegna anche a Roma e Bruxelles. Occorre rendere enormemente più semplice la macchina burocratica, rompendo lo schema per cui la Regione funziona con assessorati simili a ministeri romani da spartire come feudi. Per le idee di riforma vogliamo coinvolgere l’intera società.

Riuscirete a resistere all’inevitabile corteggiamento che arriverà da quell’incrocio di poteri che da sempre è vicino al governo regionale, a prescindere dal suo colore?

Vogliamo portare regole certe in ogni settore della sfera pubblica, qualcosa che impedisca sul nascere forme di negoziazione che non siano trasparenti. Rispettiamo tutti i portatori di interesse e coinvolgeremo tutte le formazioni sociali, i corpi intermedi della società sarda, le risorse da valorizzare in seno all’amministrazione pubblica. Ma gli unici veri “poteri forti” saranno quelli dei cittadini che si attendono un miglioramento generale e un’attenzione scrupolosa per il bene comune.

In uno dei suoi primi comizi sardi, Grillo disse che la Sardegna dovrebbe autogovernersi, senza i partiti italiani. E allora perché il Movimento dovrebbe candidarsi alla guida della Regione?

E’ vero, lui faceva riferimento ad uno Stato assente e quindi, osservando la bellezza della nostra Terra, sosteneva: ma che ci fate in Italia? Dovreste stare da soli. Ma dal momento che stiamo provando a cambiare tutta l’Italia, probabilmente il senso è che, parallelamente alla direzione di un autogoverno, di una sovranità dei sardi, si può cambiare direttamente la mentalità della stessa Italia.
Ad ogni modo, una delle regole ferree del Movimento Cinque Stelle è che ogni candidato sia espressione del suo territorio di riferimento, senza eccezioni, senza mai candidati paracadutati.
Non dimentichiamo che abbiamo eletto la più folta rappresentanza parlamentare nella storia della Sardegna con personalità orgogliose e legatissime alla propria terra. Senza la retorica di certi partiti che riscoprono la sardità solo per coprire compromessi molto “italioti”, noi siamo pienamente un Movimento a cincu istellas. O chimbe, se preferite.

Se lei avesse la possibilità di incidere sul programma elettorale, su quali tre parole punterebbe per il febbraio 2019?

Salute, lavoro e trasporti alla portata di tutti in una comunità sarda sempre più sovrana.
Tre parole strettamente legate tra loro. Ne posso scegliere una di riserva? Turismo.