Mi sono chiesto: ma è proprio credibile scrivere qualcosa di risolutivo ai tanti problemi che ha la Sardegna se intanto nessuno poi li leggerà?

Il mondo dei social ci vogliono sintetici, efficaci nelle parole e che siano esse chiare per rappresentare “quel tutto” che non bastano mille caratteri. Bisogna essere schematici come se dovessimo presentare la nostra storia ad un individuo sconosciuto con un “biglietto da visita” che ci identifica e che risponda alla domanda: se tu dovessi dire in poche parole alcune soluzioni fondamentali e utili per il percorso che sta vivendo la Sardegna, come ti esprimi?

Tra le domande che qualificano l’esistenza storica dell’Isola e le sue problematiche che ogni uomo e ogni donna che vi vive si pone, insieme ad altre domande drammatiche come per esempio: tu, che dici della mancanza di mobilità? Tu, che dici della mancanza di prospettiva? Tu, che dici del mancato sviluppo in alcuni settori? Tu, che dici dell’incapacità di aggregarsi per fare forza? Tu, che dici della mancanza di visione? Tu, che dici della fame di tanti? Tu, che dici dello spopolamento? Tu, che dici del mare che continuamente picchia sempre sullo stesso scoglio? e via dicendo, c’è certamente anche questa domanda, sintetica: tu, che dici della Sardegna? In che rapporto ti senti con la Sardegna?

Noi, i sardi, abbiamo più che mai bisogno di confermare il nostro ruolo, non per realizzare i nostri insuccessi oppure consolarci del nostro “diminuito” influsso sulle masse, ma per riconoscerci in questa situazione concreta e difficile.

Perché la preoccupazioni della Sardegna, da sempre, deve essere quella di farsi capire e quindi di arrivare veramente a tutti, non solo a chi non ci vuole sentire, o alle istituzione che hanno una missione.

Una missione? Certo, nella realtà storica nel mondo, la missione ha preceduto sempre la comunità e l’ha costituita. Prima c’è sempre l’azione e poi arriva il resto. Con il resto, l’aiuto reso sarà sempre una delle caratteristiche di fondamento della comunità che ha scelto di vivere non solo in Sardegna, ma in qualunque altra parte del mondo.

Questa “cosa”, non aiuta certo ad esaminare sul perché “certe cose non si realizzano” oppure perché “certe avventure sono finite così male”, ma certamente aiuta ad interrogarsi a non accettare l’aiutino della moneta che sgrava solo alcune coscienze. E qui mi fermo.

Quindi: quale comunità potrà educare con l’azione se non una Sardegna appassionata, che non si lascia “tagliare le gambe” dalle delusioni, che non “smonta mai” dal suo turno di lavoro degli indifferenti e non riesce a dire ma che con l’azione “si interroga”?

Quale Sardegna potrà formare persone e comunità, se non quella che conosce l’attesa, l’angustia, il tormento, l’esultanza?
Se noi pensassimo al progetto trascurando il fattore libertà, ci esporremmo al rischio dell’astrattezza ed è quello che abbiamo vissuto in tutti questi anni di mancanza di pianificazione; se pensassimo SOLO alla libertà dimenticando il progetto, finiremo nella inconcludenza. E cosi è.

L’arte di educare e di voler crescere e pretendere un cambio culturale, è in mano ad ogni essere umano. E’ proprio di chi sa far convivere progetto e libertà aiutando il popolo ad essere più maturo.