«Catalani, Catalani; Muoiano gli Spagnoli!». Nessuno avrebbe immaginato che a lanciare questo “reinterpretato” storico grido sarebbe stato il presidente della Regione Sardegna, Francesco Pigliaru.

Una uscita, dopo tre anni e mezzo di silenzio, che ha meravigliato anche gli indipendentisti sardi. Uno sfogo inviato direttamente al rappresentante della Generalidad della Catalogna ad Alghero.

Pigliaru ha fatto come quei comunisti che, non potendo fare la rivoluzione a casa loro, si mettevano la maglietta di Che Guevara per consolarsi. In poche parole, ha manifestato il desiderio represso di molti politici sardi che, non riuscendo a portare avanti un progetto indipendentista, sovranista o identitario, si accontentano di vederlo dagli altri.
Noi Sardi, con i Catalani e con gli Spagnoli, abbiamo fatto un pezzo di strada storica insieme.

Non ci dobbiamo dimenticare che, nel 1323, i Catalani Aragonesi hanno dato inizio alla conquista della Sardegna, portata a temine nel 1420. Dell’Aragona storica facevano parte l’Aragona, la Catalogna e la Comunità Valenziana. Come sappiamo, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, nel 1469, hanno dato vita alla Spagna unendo i loro regni.

Dopo la guerra di successione spagnola, nel 1720, il regno di Sardegna è passato ai Savoia. Per tanto abbiamo combattuto i Catalani Aragonesi Spagnoli per ben 400 anni, sempre con la speranza di tornare a gridare: «Arborea, Arborea! Muoiano i Catalani, Aragonesi e Spagnoli».

Pigliaru e molti altri sardi stanno solidarizzando, con ragione, con la parte della società catalana che vuole decidere da sola se rimanere o meno con lo Stato spagnolo. Quello che non si riesce a comprendere e che, oggi, chi si sta professando a favore dell’autodeterminazione dei Catalani guida un governo che in Sardegna ha votato a favore del Referendum per la riforma costituzionale che ci voleva togliere quel poco di autonomia che abbiamo.

Altra azione del presidente sardo è stata quella di comunicare la solidarietà del governo regionale al rappresentante della Generalidad della Catalogna ad Alghero, e non al presidente della Catalogna, come se la città di Alghero fosse una entità extraterritoriale della Catalogna in terra sarda.

La storia si ripete, dice il proverbio. Per questo molti Sardi sperano che con l’indipendenza della Catalogna e la morte dello Stato spagnolo si ritorni, seguendo quelli che oggi sono i territori delle comunità autonome spagnole, alle entità statuali nate dopo la riconquista cristiana contro gli Arabi.

Il problema è che noi oggi non facciamo parte della Spagna, e per tanto non possiamo ritornare alla sovranità sarda medievale, perché prima occorre che anche l’Italia ritorni ai territori dei regni preunitari. Per tanto, seguendo questa logica, si dovrebbe sperare che la Padania si renda indipendente e faccia cadere lo Stato italiano.

Allora cosa dobbiamo fare? Aspettare sulla riva del fiume che passi il cadavere del nostro nemico per fare la rivoluzione culturale in Sardegna?

Quelli che oggi stanno facendo lo stato indipendente di Catalogna studiano la loro storia nelle scuole, parlano la loro lingua nella pubblica amministrazione, e governano il loro territorio senza partiti legati allo Stato spagnolo. Noi niente di tutto questo.

Il cammino che i Sardi devono intraprendere, prima di tutto, è quello di ritornare all’identità sarda con un governo sganciato dai partiti italiani.

Altrimenti non servirà a niente metterci le magliette con la bandiera catalana o gridare: «Arborea, Catalani! Muoiano gli Spagnoli o gli Italiani».