È partito il rush finale verso il fatidico 1-O che porterà la Catalogna ad esprimersi circa l’avvio della separazione dallo stato spagnolo. Saranno giorni molto difficili ma anche esaltanti per la comunità catalana, divisa tra indipendentisti convinti, unionisti, scettici e disinteressati.

Suddivisione assolutamente normale e fisiologica, ogni volta che si affronta una consultazione elettorale dirimente come questa è impossibile trovare l’unanimità, i delusi da una parte o dall’altra ci saranno sempre.

Ma la partita che si sta giocando nella penisola iberica si è spostata dal possibile esito del referendum alla celebrazione dello stesso, ritenuto illegale dalla corte costituzionale spagnola, fatto che ha portato il governo centrale a schierare la polizia militare pur di impedirlo.

Ma cos’avrebbe di così illegale questo referendum popolare rispetto alle genesi che ha portato alla costituzione degli stati europei per come li conosciamo oggi?

Val la pena ricordare che quasi tutti sono nati dalle lotte tra dinastie regnanti, attraverso rivoluzioni, guerre, massacri, pulizie etniche, annessioni, scambi, compravendite, tradimenti, accordi segreti, compensazioni, negoziati tra potenze egemoni, quasi mai per volontà o per espressa approvazione dei sudditi.

È forse più legale e legittimo uno stato ottenuto attraverso un processo violento che per per pacifica volontà del popolo chiamato alle urne?

Quando un popolo decide di esprimersi su un tema così delicato è chiaro che la sovranità dello stato originario è sospesa, poiché il popolo ha deciso per quella domenica elettorale di ri-avocarla a se, per contarsi e decidere del proprio futuro.

Tra quanti non si esprimono su questa crisi, se non strappandogli le parole di bocca, serpeggia il tabù della divisione, la separazione intesa come valore negativo, contrapposto al comunitarismo positivo dell’unione da preservare a qualunque costo.

Quello stesso sentimento di origine cristiana che porta sempre, spesso inconsciamente, a colpevolizzare le separazioni di coppia, anche a costo di tollerare le angherie o i tradimenti del coniuge pur di salvaguardare le apparenze, il benessere economico e il quieto vivere in generale.

In questo frangente si aggiunge anche lo stigma dell’egoismo, ossia: “vogliono abbandonare la patria perché sono stanno bene economicamente e non vogliono condividere il loro benessere con altri”.

Posto che per un popolo economicamente depresso e assistito sarebbe ben difficile ipotizzare la sua esistenza separata da quella del suo benefattore, sarebbe come stigmatizzare il comportamento di un coniuge che lasciasse l’altro in quanto economicamente capace di cavarsela da solo.

Si può colpevolizzare un popolo che non contento della sua convivenza con un altro, ha la volontà, la capacità organizzativa e le risorse economiche per decidere di vivere autonomamente a casa sua?

Eppure, dicono ancora i detrattori: “la Catalogna sta bene nella cornice statuale spagnola, ha la sua autonomia, trattiene buona parte delle tasse, non le manca niente, andarsene è solo un atto di egoismo”.

Ma, come per le coppie, non sempre avere la pancia piena e un pingue conto in banca garantisce una convivenza felice: “ti compro tutto quello che desideri, ma devi stare a casa, altrimenti ti riempio di botte”!

Ma l’1-O per i catalani non sarebbe certo il giorno del divorzio, quanto piuttosto il giorno dove confermare o no la volontà di proseguire congiunti alla Spagna, il divorzio si sa è un processo ben più lungo e complesso che non si esaurisce certo alla prima udienza preliminare, che tra l’altro potrebbe anche sancire il proseguo del cammino comune.

Tutti sanno o dovrebbero sapere questo, eppure le reazioni del governo spagnolo e a ruota quelle dei governi amici e in seno alla stessa U.E. sono state di netta chiusura verso le istanze catalane.

Dove non c’è stato il rigetto, c’è stata l’ambiguità, come nel caso del nostro presidente Pigliaru che, prima richiama gli: “strumenti istituzionali e organi costituzionali che gli Stati possono utilizzare per far valere le proprie funzioni e competenze”, salvo poi ricordare che non si può: “negare il diritto dei cittadini di esprimere le proprie opinioni politiche e di proporre riforme sull’autodeterminazione”.

La richiesta di autodeterminazione di un popolo o una nazione all’interno di uno stato è sempre una negazione o per lo meno la sospensione, delle leggi costituenti di quello stato e dello spagnolo in particolare che, come l’Italia si ritiene unico ed indivisibile.

Che la convivenza all’interno dello stato spagnolo non sia così felice lo dimostra l’arrogante reazione del governo Rajoy nei confronti della Catalogna, con arresti, sequestri, censure, perquisizioni intimidazioni, una follia, un gesto inconsulto che, lungi dal sopire la determinazione dei catalani, non sta facendo altro che accrescerla. Riemergono le contrapposizioni secolari, gli spettri della guerra civile, la fiera determinazione a tutelare la propria identità culturale, rappresentata sopratutto dalla tutela della lingua. Non ci sono solo i soldi alla base delle rivendicazioni indipendentiste, forse ci sono anche quelli, ma non sono l’aspetto più importante, si scontrano due culture e due forme di stato: la repubblica libertaria, inclusiva e aperta contro la monarchia tradizionale e autoritaria.

La Spagna senza la Catalogna, perderebbe gran parte del suo prestigio e della sua smania di grandeur, peserebbe meno in Europa e questo precedente potrebbe accendere altre istanze analoghe in Spagna e in Europa.

Insomma oggi come nei secoli scorsi una ristretta élite di persone, senza alcuna reale rappresentanza popolare su questi temi, si arroga il diritto di definire gli assetti di un intero continente, decidendo quali sono gli stati che possono nascere e quelli che devono abortire.

Qualunque sia l’esito del 1-O, la faccia autoritaria dell’Europa ha gettato la maschera, mostrando il suo volto più ipocrita e cinico, sempre più distante da quell’Europa dei cittadini tanto decantata, unicamente interessata alle prerogative economiche del continente. Speriamo solo che questo rigurgito di repressione sia solo un incidente e non il preavviso di un escalation.