Cosa altro deve succedere perché la giunta regionale prenda atto del fallimento della cosiddetta “riforma” della sanità sarda?

Non è stato sufficiente lo sciopero proclamato il 6 luglio scorso che ha visto scendere in piazza i sindacati confederali, la rete sarda dei movimenti, gli operatori sanitari, semplici cittadini, a difesa di quel che resta della sanità pubblica in Sardegna.

Così come non è servita la presa di posizione delle associazioni mediche, dei veterinari, dei biologi e dei farmacisti che, per la prima volta, sono scese in campo, unitariamente, contro le politiche sanitarie del governo regionale, approvando un manifesto dal titolo significativo “Un cuore a difesa del Servizio Sanitario regionale”. Non è bastata la mobilitazione massiccia, determinata, rabbiosa, di migliaia di cittadini che da La Maddalena a Tempio, da Alghero ad Iglesias, da Isili a Muravera e a Sorgono, hanno fatto sentire alto ed inequivocabile il loro NO alla proposta di riordino della rete ospedaliera.

Di fronte a tutto questo il Presidente della giunta e l’assessore della sanità si sono limitati a fare spallucce, negando legittimità ad una protesta che scuote nel profondo la società sarda.

Ma certo non potranno continuare ad ignorare la netta presa di posizione del Presidente dell’ANCI che, a nome dei comuni sardi, ha definito il provvedimento della giunta un atto lesivo dei bisogni di salute della parte più debole e sofferente dei cittadini sardi.

Così come non potranno ignorare la secca bocciatura del Consiglio delle Autonomie locali che ha rimandato al mittente la proposta della giunta, chiedendo un radicale “ cambio di prospettiva, una visione meno contabile e scelte politiche per la costruzione di una rete ospedaliera diffusa, efficiente e di qualità”.

Non bisognava essere dei preveggenti per capire che la cosiddetta “riforma” sanitaria era l’espressione di un limite culturale e politico, di un grave errore concettuale. Una costruzione figlia di un paradigma che ignora i nodi strutturali della nostra organizzazione sanitaria e che pone in cima alle priorità, non i bisogni di salute dei cittadini, ma l’imperativo categorico della più banale delle dottrine neo liberiste: tagliare, tagliare e ancora tagliare.

Si è pensato così di costruire il nuovo edificio della sanità sarda iniziando dal tetto invece che dalle fondamenta. Si è scelta la soluzione più vantaggiosa sul piano della propaganda: cancellare le otto ASL per puntare alla creazione di un’unica ASL: tagliare, tagliare, accentrare, accentrare. Una macrostruttura capace di generare sprechi ed inefficienze, come stanno sperimentando in questi mesi gli operatori sanitari.

La tappa successiva è stata il varo del riordino della rete ospedaliera. Senza molta fantasia si è pensato di centralizzare nei due grandi poli ospedalieri di Cagliari e Sassari a tutto discapito del territorio: si svuotano i piccoli ospedali, si chiudono i servizi, si spostano gli operatori sanitari.

Ancora una volta il solito mantra: tagliare, tagliare, accentrare, accentrare. Una visione razionale e attenta avrebbe individuato nel territorio, nei servizi territoriali di prevenzione, il nodo strutturale della sanità sarda. Solo creando una rete di servizi territoriali si può rispondere ai bisogni dei cittadini e allo stesso tempo restituire gli ospedali al loro ruolo primario di diagnosi e terapia più fine e sofisticata, liberandoli da una routine che ne limita pesantemente l’operatività.

Il passo successivo sarebbe dovuto essere l’avvio di un efficiente Servizio di Emergenza ed Urgenza, in grado di rispondere, con tempestività ed efficienza, alle evenienze più drammatiche e gravi. In buona sostanza la road-map della giunta sarebbe dovuta essere l’esatto contrario di quella che è stata predisposta: prima il territorio, poi l’emergenza-urgenza, e poi il riordino della rete ospedaliera.

All’Assemblea regionale, quella che una volta era considerata la più alta espressione del popolo sardo, si chiede un sussulto di dignità, una dimostrazione intellegibile di autonomia e di libertà da qualsiasi condizionamento, e di decidere nel solo interesse dei cittadini sardi.