A che punto è la notte?

Sta per finire, se è vero che già nella prima metà di settembre arriveranno al pettine nodi non secondari nello sviluppo delle proposte politiche che si confronteranno nel giro di pochi mesi sia sullo scenario italiano che su quello sardo.

A me spetta – seppur sempre più controvoglia – fare il punto rispetto alla proposta di alleanza tecnica (non programmatica, né di prospettiva, ma tecnica, stante la legge elettorale vigente) esplicitata con un articolo apparso su questo blog lo scorso 16 agosto (https://www.anthonymuroni.it/2017/08/16/un-polo-sardo-sardista-indipendentista-le-elezione-del-senato/), finalizzata a rendere visibile la crisi dei partiti italiani nella società sarda e l’esistenza di una non secondaria potenzialità (per ora solo nella testa degli elettori) di una proposta sarda di buongoverno.

Quali sono state le reazioni?

Fanno, ovviamente, più rumore (anche e soprattutto quando coincidono col silenzio) quelle pubbliche. Ma le più importanti sono state quelle tenute celate.

Andiamo con ordine.

Il PsdAz – col vicesegretario nazionale Quirico Sanna – ha rivendicato la primogenitura dell’idea. In verità credo che il gruppo dirigente sardista ne abbia discusso al suo interno ma mai questa proposta – se è stata adottata in via definitiva – sia stata esplicitata ufficialmente.

In ogni caso credo che si tratti di una coincidenza molto positiva, pur prendendo atto di un differenza di non poco conto: Sanna ha parlato di lista nazionale, mentre invece a mio avviso l’unica ipotesi di praticabilità è legata a una coalizione tecnica, la più ampia possibile.

Perché? Perché nel variegato magma del mondo dell’autodeterminazione, in questa fase, è praticamente impossibile pensare di confluire in una lista unica.

E poi perché non sarebbe conveniente tecnicamente: raggiungere la soglia minima dell’8%, obiettivo che ad alcuni pare a portata di mano con una lista unica (ma che unica non sarebbe, subendo un’ampia concorrenza), consentirebbe sì di raggiungere la soglia minima per l’elezione di un senatore ma non darebbe certezza alcuna sul raggiungimento del quoziente necessario.

Essendo otto i seggi disponibili, a bocce ferme è più facile pensare che l’obiettivo si sposterebbe verso il 12%.

Paradossalmente sarebbe meno difficile – in una coalizione in cui sommare tecnicamente tutti i consensi di quell’area, su base proporzionale – raggiungere la soglia del 20%, essa sì capace di traguardare entrambi gli obiettivi: la quota minima di coalizione e il diritto a partecipare alla distribuzione dei seggi (il partito più votato dovrà superare – e lo farebbe agevolmente – il 3%).
In ogni caso, credo ci sia il tempo per parlarne.

Rossomori – attraverso un commento pubblico del suo presidente Gesuino Muledda – ha a sua volta rivendicato una sorta di primogenitura (“io sono tra i proponenti di una alleanza della autodeterminazione che concorre, se ci sono le condizioni giuridiche, per le elezioni del Senato su base regionale”) ribadendo – per chi ne conosce le attuali e recenti lune – una chiusura assoluta soprattutto al Partito dei Sardi (“… ma questo non vuol dire che si faccia un minestrone. Rossomori sta in un progetto alternativo rispetto a chi governa la Regione”).

Lo stesso Partito dei Sardi non è pervenuto, se non per le solite offensive contumelie di una squadraccia di commentatori Facebook, e per la strana coincidenza di due articoli di stampa (prontamente rilanciati sulla pagina Facebook del partito) in cui si dava conto del fatto che è in preparazione un’ampia alleanza – con dentro anche il PsdAz – pronta a candidare Paolo Maninchedda alla presidenza della Giunta regionale.

Chi ne faccia parte (partiti italiani, tra cui il Pd? Partiti solo sardi?), se i sardisti lo sanno (il solito vicesegretario Sanna ha smentito), per fare cosa (continuare le politiche di Pigliaru/Paci? Sconfessarle?) e cosa questa alleanza vorrebbe fare per le elezioni del Senato (allearsi col Pd? Presentare una coalizione solo sarda?) non è dato ancora sapere.

ProgreS ha invece chiarito che considera la mia proposta una “ascarata”, finalizzata ad annullare anni di battaglie indipendentiste (con i risultati che tutti abbiamo sotto gli occhi) o addirittura a una convenienza personale.

Che dire, quando le argomentazioni – di fronte a un percorso proposto che è tecnicamente e politicamente chiaro – sono queste?

Politicamente intelligente e generosa è stata invece la lettera aperta del direttivo di Gentes: senza perdersi in stucchevoli rincorse a primogeniture e personalismi, l’associazione presieduta da Alessandro Mongili ha tracciato una road map incentrata su dialogo, partecipazione, tracciatura di un perimetro di valori etici ampiamente condivisibile ed elaborazione di una proposta finalizzata prima alla rappresentanza e poi al governo.

Restano poi i silenzi: alcuni sono prudenti ma intelligenti, altri tattici, altri ancora sdegnati.

Eppure la pietra nello stagno è stata tirata e i pesci hanno iniziato a venire a galla.

Lo sa anche chi non vuole ammetterlo: dallo snodo elezioni politiche 2018 – e dalla proposta del 16 agosto – bisognerà passare per capire se davvero c’è una prospettiva di speranza e di cambiamento in Sardegna. Con tutti gli spiacevoli passaggi del caso.