La denuncia di Libe.r.u. dello sversamento di veleni nel tratto di strada delle 131 tra Sanluri e Sardara, che abbiamo ribattezzato “Sarcofago della Morte”, è cosa nota e altrettanto trascurata da anni.
Perché da noi è consuetudine non avere colpe e scaricare il barile al prossimo. Specialmente quando il barile trasuda veleni.

La vicenda del Sarcofago della Morte prende il via alla fine degli anni Novanta e nasce come punto di incontro di diverse esigenze. Secondo la Procura di Cagliari la Sardinia Gold Mining avrebbe venduto il materiale di scarto della produzione aurifera nella miniera di Santu Miali. Quella che doveva essere una esorbitante spesa di smaltimento si sarebbe trasformata invece in un lauto guadagno.

A far parte del gioco, secondo l’accusa, il subappaltatore Antonino Marcis, che avrebbe fatto un affare a pagare il materiale di risulta (700mila tonnellate di materiali provenienti da Santu Miali) al prezzo di 200-300 lire a tonnellata (ai tempi c’era la lira) mentre il prezzo corrente sul mercato per materiale di risulta era di circa 1.600 lire a tonnellata.

Un affare di smaltimento che secondo l’accusa avrebbe reso ai protagonisti una bella cresta di circa un miliardo, grazie a una spesa di circa centoquaranta milioni anziché del miliardo e centoventimila del prezzo corrente.
Nel 2012 con l’accusa di frode in pubbliche forniture sono indagati – oltre allo stesso Antonino Marcis – l’umbro Aldo Serafini, rappresentante legale della Todini Costruzioni Generali Spa, e il direttore dei lavori, l’algherese Giorgio Carboni tecnico dell’Anas. Quest’ultimo avrebbe rilasciato il certificato di collaudo del tratto di strada oggetto dell’inchiesta, dichiarando di aver eseguito i test per il controllo della qualità dei materiali usati per realizzare il sottofondo dell’asfalto.

Insomma un pasticciaccio brutto di cui ancora non si vede fine e che continua, con nostra grande preoccupazione, ad andare giorno per giorno verso la prescrizione, visto che tutto è ancora fermo.
Nel frattempo ci chiediamo quale è il ruolo dei politici nel corso di tutta questa vicenda.
Il 2 febbraio del 2002 il tratto di strada del Sarcofago della Morte venne inaugurato in pompa magna dall’allora presidente della Regione Mauro Pili.

Certamente non avrà avuto responsabilità nell’accaduto visto che la magistratura non lo ha coinvolto, ma stupisce comunque – per il lassismo dell’apparato burocratico regionale – che un presidente di Regione non sapesse niente della vicenda, visto e considerato che la Regione deteneva il 30% della Sardinia Gold Mining, artefice dell’operazione.

E stupisce anche che, proprio perché non avrebbe responsabilità, nell’iperattivismo del suo riscoperto sardismo Pili si sia dimenticato di fare uno scoop proprio su questa vicenda. Uno dei suoi filmati “condividi-se-condividi”, magari con alle spalle i veleni che escono dal Sarcofago e una dichiarazione tipo: “Buongiorno a tutti, sono qui per denunciare lo scempio del Sarcofago della Morte che ho inaugurato io quando ero presidente della Regione e che ora rischia di far venire il cancro a migliaia di persone”.

Una cosa del genere, da estraneo ai fatti ma da reporter sempre attento ai nostri diritti. Invece niente. Peccato.

E ci chiediamo anche quale sia stato il ruolo di Ugo Cappellacci che nel 2002, quando è stato inaugurato il tratto di strada, era presidente della Sardinia Gold Mining. E anche lui, ovviamente, a quanto pare non sapeva assolutamente che ci fossero veleni provenienti proprio dalla SGM sotto quella strada inaugurata dall’allora collega di partito Pili.

Cappellacci che peraltro era a sua volta presidente della Regione in carica quando, a ottobre del 2012, la Procura di Cagliari rinviò a giudizio quattro persone per la vicenda. E nonostante fosse presidente della Regione e avesse sotto gli occhi il disastro, causato dai fanghi della società di cui era stato presidente, come vediamo si è guardato bene dal risolverlo, scaricando il pesante barile sulle spalle del prossimo.

Un prossimo che, vista la denuncia e l’inchiesta, non può dire di non sapere e che potrebbe essere, tra i tanti, anche Paolo Maninchedda, che in questi ultimi tre anni ha occupato la poltrona dell’assessorato ai Lavori Pubblici. Tra le mille occasioni in cui si è pubblicamente autocelebrato per i lavori di risistemazione e ammodernamento delle strade si è purtroppo dimenticato di spiegare che cosa ha fatto, o cosa avrebbe – volendo – potuto fare per risolvere questo immane disastro.

Purtroppo anche lui ha fatto il suo corso e ha lasciato tutto così come era. Evidentemente ha reputato che si potesse “Fare lo Stato” anche lasciando il veleno nascosto sotto il tappeto.
L’attuale assessora all’Ambiente, Donatella Spano, in tutti questi tre anni ha evidentemente avuto altro a cui pensare, dedicandosi con ogni evidenza alla costruzione di inceneritori piuttosto che allo smaltimento di centinaia di migliaia di tonnellate di terra che per undici chilometri rilasciano verso i campi coltivati liquami carichi di mercurio, cadmio, arsenico e altri metalli pesanti altamente cancerogeni.

Un silenzio che continua nonostante la denuncia di Libe.r.u. sia stata precisa e circostanziata, nonostante sia stata ripresa da tutti i giornali e contenga un esplicito richiamo alla sua responsabilità, con una richiesta di rassicurazioni e di impegno per la risoluzione del problema.
Un silenzio tombale come quello di un Sarcofago.
Nel frattempo, se anche tu pensi che tutto ciò non ti riguardi più di tanto, a te non è permesso – come ai politici – di giocare a scarica barile.
Perché tu il problema lo prendi e te lo porti a casa, che vuoi o non vuoi, fino a quando questo Sarcofago resterà lì.

Perché oggi quando metterai il pane, le verdure, la frutta, il formaggio sulla tua tavola non potrai sapere se quei prodotti provengono da zone che sono inzuppate di quei veleni.

E l’unico tragico scaricabarile che ti è permesso è quello di servirli a tuo figlio.