Frequentemente, nei Media, viene citato e ricordato Cicerone per la sua saggezza. Oltre, naturalmente, che per il suo “latino” classico, elegante, complesso e inarrivabile.

Condivido. Non si parla mai però, neppure da parte dei Sardi del suo rapporto con la Sardegna. Dei suoi giudizi insultanti e sprezzanti.
Il grande oratore romano parla di noi Sardi soprattutto in Pro M. Aemilio Scauro oratio.
L’orazione, dell’anno 54 a.c. è in difesa di Emilio Scauro ex governatore della Sardegna.

Questi è accusato di tre “crimini”: aver avvelenato nel corso di un banchetto Bostare, ricco cittadino di Nora, per impossessarsi del suo patrimonio; aver insistentemente insidiato la moglie di tal Arine, tanto che essa si sarebbe uccisa piuttosto che divenirne l’amante: i due reati (veneficio il primo e intemperanza sessuale il secondo, – sottolinea lo storico sardo Raimondo Carta-Raspi (in Storia della Sardegna, Mursia editore) – non erano tali da preoccupare un avvocato dell’abilità di Cicerone e infatti egli riuscì a confutare queste accuse volgendole anzi al ridicolo.

Insieme a lui difendevano Scauro altri 5 avvocati di grido, tra i quali Ortensio e il tribuno Clodio e ben nove consolari come testimoni – laudatores – a difesa dell’imputato, uno era addirittura Pompeo. Oltre agli avvocati infatti l’imputato poteva avvalersi di laudatores appunto, che ne facevano l’apologia con argomenti che talora erano semplici sviluppi di testimonianze in stile ornato.

Cicerone sosterrà infatti che Scauro non aveva alcun interesse a fare avvelenare Bostare, perché non era il suo erede e non aveva nessun motivo di odio personale, mentre trova alla madre di quest’ultimo un movente che giustificherebbe l’avvelenamento del figlio; per quanto attiene alla seconda imputazione, sostiene che la moglie di Arine era vecchia e brutta quindi non si vedeva la smania di sedurla da parte di Scauro.

Di ben altra importanza era invece il terzo reato addebitato all’ex propretore, accusato di malversazione nella sua amministrazione della Sardegna, con l’esazione di tre decime: oltre a una decima normale e a una seconda straordinaria ma ugualmente legale, Scauro infatti ne impose una terza a suo esclusivo beneficio. Peccato che la confutazione dell’accusa più grave per i romani, quella appunto di aver ordinato le illegali esazioni di frumento, non ci sia pervenuta.

Ci è però pervenuta la parte in cui Cicerone si impegna com’è suo stile a lodare la specchiata onestà di Scauro (figlio di Cecilia Metella, moglie di Silla) e a insultare i suoi accusatori. Essi sono venuti dalla Sardegna convinti di intimorire e persuadere con il loro numero, ma non sanno neppure parlare la lingua latina e sono vestiti con le pelli (pelliti testes).

Ma c’è di più: per screditare i 120 testimoni sardi non esita a dipingerli come ladroni con la mastruca (mastrucati latrunculi), inaffidabili e disonesti, la cui vanità è così grande da indurli a credere che la libertà si distingua dalla servitù solo per la possibilità di mentire: la loro inaffidabilità viene da lontano, dalle loro stesse radici che sono rappresentate dai fenici e dai cartaginesi, guarda caso nemici storici dei Romani. Di qui l’accusa più grave e insultante, oggi diremmo “razzistica”: Qua re cum integri nihil fuerit in hac gente piena, quam ualde eam putamus tot transfusionibus coacuisse? (E allora, dal momento che nulla di puro c’è stato in questa gente nemmeno all’o¬rigine, quanto dobbiamo pensare che si sia inacetita per tanti travasi?)

Proprio per questo motivo l’appellativo afer è più volte usato come equivalente di sardus e l’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae viene adottata dall’oratore romano per affermare che dai fenici sono discesi i Sardi, formati da elementi africani misti, razza che non aveva niente di puro e dopo tante ibridazioni si era ulteriormente guastata, rendendo i sardi ancor più selvaggi e ostili verso Roma tanto che i sardi mescolati con sangue africano non strinsero mai con i Romani rapporti di amicizia né patti d’alleanza e che la Sardegna era l’unica provincia priva di città amiche del popolo romano e libere.

A questo proposito però Cicerone innanzitutto dovrebbe mettersi d’accordo con il suo “compare” Tito Livio che nelle sue storie (XXIII,40) ricorda città sarde socie di Roma devastate da Amsicora; in secondo luogo l’oratore romano ignora evidentemente che i Fenici arrivano in Sardegna intorno al IX secolo e che le popolazioni nuragiche nel mediterraneo occidentale erano giunte duemila anni prima della fondazione di Cartagine. Ma si tratta – si chiede lo storico Carta-Raspi nell’opera già citata – di artificio oratorio o ignoranza?

Probabilmente dell’uno e dell’altra insieme.
Fatto sta che Scauro fu assolto con 62 voti a favore e con soli 8 voti contrari, furono screditati i testimoni sardi, fu infangata la memoria di Bostare e Arine, fu razzisticamente insultato l’intero popolo sardo e la sua “origine”.

Scauro fu assolto nonostante le accuse gravissime e Cicerone considererà questa una delle sue più belle orazioni, tanto che più volte nelle lettere ne cita delle parti con compiacimento. Pare comunque che non sia stata l’orazione di Cicerone ad assolvere Scauro: protetto da Pompeo potè corrompere i giudici che lo mandarono assolto.

Ma uno degli accusatori, Publio ValerioTriario, non si dà per vinto e riuscì a fare condannare Scauro costringendolo a prendere la via dell’esilio, in seguito ai brogli che commise nelle elezioni per console, nonostante fosse ancora difeso da Cicerone,

E pochi anni dopo, come ricorda nella tragedia Ulisse e Nausica in sa Cost’Ismeralda, (Editziones de Sardigna) il poeta e studioso di cose sarde Aldo Puddu, Cicerone viene decapitato dal centurione di Marc’Antonio mentre cerca di sfuggire alla proscrizione e come estremo sfregio la nobile Fulvia infilza la sua esanime lingua con uno spillo da fermaglio: ut sementem feceris ita metes: mieterai a seconda di ciò che avrai seminato, ipse dixit.

Su Cicerone e la sua difesa di Scauro scrive parole molto severe Filippo Vivanet: “Pagato da Emilio Scauro,egli impiegò la sua magnifica quanto venale eloquenza a dipingere coi più neri colori chi voleva colpire onde rinfrancare le parti del suo cliente.

La sua foga oratoria non trovò limiti allora nella impudenza e nella falsità delle accuse; i suoi periodi sonanti, la sua parola meravigliosa bastarono a tergere d’ogni imputazione un concussionario esecrato dalla Sardegna, e la posterità senza indagare la giustizia dei suoi giudizi imparava a ripetere per strascico di erudizione una triste calunnia dacché essa era vestita del più sonoro ed abbagliante latino che labbro romano avesse fatto echeggiare dai rostri”.

Difficile dare torto a Vivanet.