La recente vicenda che riguarda le Scuole di Specializzazione Medica è l’emblema della confusione, dell’inopportunità, dell’incoerenza delle burocrazie ministeriali italiane che governano l’Università e la Ricerca in Sardegna. È l’ennesimo capitolo della triste storia della non-politica sanitaria italiana che si ripercuote sulla salute dei cittadini sardi.

Ma facciamo un passo indietro.

Le scuole di specializzazione e la scuola di Medicina Generale sono gli unici canali disponibili per l’accesso al mondo del lavoro per i medici abilitati. E il possesso del diploma di specializzazione (o di medicina generale), è un requisito imprescindibile per praticare la professione medica specialistica (cardiologia, chirurgia generale, radioterapia, oncologia, etc) nel pubblico o nel privato.

L’ingresso nelle scuole di specializzazione si basa su un concorso nazionale, che offre circa 6100 contratti di formazione specialistica. Peccato che i medici che avrebbero bisogno di questo canale formativo siano più del doppio: oltre 13 mila. Da tempo lamentiamo l’insufficienza dei contratti regionali e ministeriali per l’accesso alle scuole di specializzazione, in continua diminuzione, a fronte di un fabbisogno reale ben più elevato e della questione sarda, che richiederebbe un’attenzione particolare anzichè un grigio appiattimento su parametri che rischiano di non avere riscontro nella realtà.

Come mai a fronte della cronica carenza di personale degli ospedali di tutto il territorio, la scelta politica è quella di porre un altro imbuto per l’accesso alla formazione medica? Da un lato liste d’attesa infinite, 709.200 sardi che rischiano di rimanere senza medico di base (dati FIMMG, http://www.lastampa.it/2016/10/05/italia/cronache/tra-sette-anni-un-italiano-su-tre-non-avr-pi-il-medico-di-famiglia-FO960VOBT96PWsts5oMYGN/pagina.html), dall’altra uno Stato che non garantisce ai medici di formarsi per diventare specialisti.

Ennesima anomalia italiana, che fa sì che ogni anno centinaia di medici sardi siano condannati ad un futuro di precariato o emigrazione verso altri Paesi UE. Anomalia che, la Regione Sardegna, potrebbe correggere tramite una programmazione delle professionalità mediche necessarie per il territorio nei prossimi 30 anni, sulla base dell’epidemiologia e della rete ospedaliera (anche questo, cantiere aperto finora e oggetto di lotte intestine ai partiti di maggioranza), e ad un conseguente stanziamento di risorse per formare le figure più necessarie a fornire assistenza medica nella nostra Regione.

Qualche mese fa il Ministero diramò le nuove Linee Guida per l’Accreditamento delle Scuole di Specializzazione, con l’obiettivo (in teoria) di migliorare la qualità della formazione dei futuri medici specialisti. Oggi si apprende tramite mezzo stampa che un Osservatorio del MIUR (un organo burocratico del Ministero) consultando i parametri ANVUR (braccio armato del Ministero, l’organo mosso dalla logica del “valutare per punire”, l’organo i cui stessi tecnici spesso vengono messi alle strette dal mondo accademico e non solo per l’illogicità di certi parametri) e AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) propone la CHIUSURA di 135 Scuole di Specializzazione in tutta Italia(il 10% del totale) perchè non soddisfano “un combinato disposto di requisiti”. (Fonte: http://www.corriere.it/scuola/17_agosto_20/scuole-formazione-medici-una-10-non-regola-b68e0224-85cb-11e7-a4e4-940a5da24d3a.shtml).
Di queste 6 sono scuole di specializzazione sarde (3 Sassari, 3 Cagliari).

Burocraticamente e ispirandosi alla già citata logica del “valutare per punire” si propone di tagliare indiscriminatamente non solo il servizio di istruzione specialistica, ma anche quello di assistenza sanitaria fondamentale. Infatti, è noto agli addetti ai lavori che senza gli specializzandi che operano nelle strutture ospedaliere di moltissimi degli ospedali presenti sul territorio, l’assistenza crollerebbe, le liste d’attesa si allungherebbero ancora di più, i pazienti rimarrebbero senza le cure necessarie. Meno specializzandi = meno medici negli ospedali sia nel presente, che nel futuro a breve e lungo termine.

Ma il paradosso della nostra Regione è che i parametri ministeriali, per l’ennesima volta, non tengono conto delle specificità del territorio. Così si rischia che a Sassari vengano chiuse le scuole di Neurologia, Neurochirurgia, Anatomia Patologica, e a Cagliari non si potranno formare più chirurghi generali, medici dello sport e nefrologi.

Continueremo a sottolineare quanto queste scelte siano dannose e controproducenti, serve un cambio di indirizzo, di rotta e di politiche. In ciò anche la classe politica Sarda dovrebbe guardare in faccia alla propria condizione di totale subalternità nelle scelte nazionali e farsi portatrice concreta della Questione Sarda: un cambio di mentalità prima ancora che di indirizzo e di policies.

Emerge infatti un fatto assolutamente distonico tra le scelte portate avanti a livello regionale da questa Giunta, e ciò che sta accadendo a Roma.

È diritto alla salute veder chiudere un centro di eccellenza a livello nazionale sulla chirurgia oncologica ed endocrina perché semplicemente i ministeri l’hanno ritenuto opportuno, in modo ottuso e cieco? È ancor più accettabile che gli alti volumi di assistenza e l’alta qualità della ricerca di questa scuola non vengano considerati?

È o non è un controsenso il fatto che una Regione affermi oggi dice di voler investire in politiche sportive e allo stesso tempo non abbia la possibilità di formare medici dello sport?

È diritto alla salute rinunciare alla formazione di nefrologi in una Regione con un’incidenza di diabete mellito tra le più alte d’Europa, con tutte le conseguenze del caso, tra cui appunto la nefropatia diabetica?

La realtà è palese: per cieche burocrazie ministeriali totalmente slegate dal territorio e dalla politica (già, dalla politica, ma non da alcuni politici italiani con l’obiettivo di chiudere, ridimensionare, tagliare a quanto pare), e per colpa di strascichi del passato, delle cose non fatte o fatte male in questa Regione, ne debbano piangere in primis i pazienti, e in seguito i giovani medici che vorrebbero formarsi in questa Regione.

E che si vedranno costretti ad emigrare.

*Rappresentante Studenti nel Consiglio di Amministrazione – Università degli Studi di Cagliari