Come ben scrive un mio amico a proposito di un articolo del consigliere Paolo Zedda in difesa del testo unico sulla lingua sarda: “in cauda venenum”. Zedda infatti solamente all’ultimo punto del suo articolo svela la finalità di questa legge:
“”Gli enti locali, le scuole, le associazioni e i soggetti privati sono tenuti solo ad adottare solo la norma ortografica. Essi sono invece liberi di scegliere la norma linguistica (possibile scegliere quella regionale, una delle varietà letterarie storiche o altre norme locali).”

Tradotto in sardo significa che lui vuole spalancare il portone alla teoria del logudorese, nuorese, campidanese, e vai un po’ a sapere quante altre varianti, come lingue differenti e distinte dalla lingua unica sarda.

La posizione di Zedda la possiamo definire come “secessionismo linguistico”, una delle migliori strategie contro l’uso della lingua sarda, un masso sulla strada per ostacolare un minimo impiego normale del sardo, uno dei modi migliori per soffocare una lingua minoritaria e minorizzata come la nostra: dividerla in pezzi.

Il fatto che gli costi scrivere “lingua sarda” senza dover aggiungere o sostituire con frasi ingannevoli come”… norma simbolicamente rappresentativa della Sardegna … varietà letterarie storiche o altre norme locali” gli dovrebbe dare un po’ di imbarazzo per evitare il ridicolo linguistico.

Il suo, letteralmente, è un discorso antiscientifico, fondato su una teoria politica linguistica aberrante, bizzarra, poiché la normalizzazione di una lingua, di qualsiasi lingua, consiste nella introduzione e diffusione nella società della variante standard codificata, creata precisamente con questa finalità. Altro discorso è che questa lingua comune possa essere arricchita con termini di tutte le varietà, come è ovvio.

Conosciamo forse qualche responsabile politico di cultura italiano, francese o tedesco che gli sia venuto o che gli venga in mente di parlare allo stesso tempo di normalità linguistica e di aiuto all’uso di forme linguistiche locali o regionali?

Certamente no.

Come si può pensare, e non provare il minimo disagio nello scrivere:
“… le scuole… sono tenute ad adottare solo la norma ortografica. Esse sono libere di scegliere la norma linguistica (possibile scegliere quella regionale, una delle varietà letterarie storiche o altre norme locali).”?
A Bonn hanno forse scelto una norma linguistica differente da quella di Monaco? A Granada hanno scelto una norma linguistica diversa da quella di Valladolid?

I libri che si useranno nelle scuole sarde devono essere scritti in sardo standard, perché una delle funzioni di ogni sistema educativo, sardo incluso, è quella di dare la padronanza della lingua propria, di tutti i ricorsi espressivi che ne formano la ricchezza e che permettono a chi la studia di avere competenza in quella lingua, non solamente in una parte della lingua.

E questo, nel nostro caso, lo si ottiene con una lingua sarda standardizzata, che già abbiamo e che ha dato i suoi frutti in questi ultimi anni, la LSC, con lo studio di tutti gli autori sardi, di ogni tempo, di ogni luogo e di ogni stile, senza erigere, con mentalità provinciale, “tancas serradas a muru”, come pretende fare la legge presentata e difesa dal consigliere Paolo Zedda, legge che non contempla l’integrità della lingua sarda e che allo stesso tempo le nega un futuro.