Sono perfettamente conscio di quanto sia pericoloso, e probabilmente poco conveniente per uno che si occupa di politica, prendere posizione nella furiosa polemica su lingua e letteratura che ha preso il via dal famoso scritto del professor Casula.

Ma anch’io, come qualcun altro, “Vivo, sono partigiano” e odio l’indifferenza verso questioni che ci riguardano tutti, perciò credo che sia giusto scrivere due righe di riflessione.

Innanzitutto partiamo dal fatto che la quasi totalità degli ettolitri di inchiostro in risposta alla lettera di Casula sono stati versati fuori luogo, hanno cioè risposto in maniera polemica a polemiche che il professore non ha mai fatto.

Lungi da me fare il suo avvocato, ma Casula ha detto cose ben diverse da ciò che gli è stato forzosamente attribuito.

Sui social per giorni dilagava un ingeneroso sfottò nei suoi confronti, consistente sostanzialmente nel rivendicare che si è Sardi anche senza parlare sardo, mangiare sardo, vestire sardo e chi più ne ha più ne metta. Bene avrebbero fatto, quelli che si sono divertiti a sfottere, a rileggere con più attenzione ciò che il professore ha scritto (e possibilmente a capirlo). Perché se lo avessero fatto avrebbero scoperto che tutti dovremmo fare nostra la sua critica.

E che diavolo avrà mai detto o anche solo insinuato quest’uomo?

Che nel Festival di Gavoi, anche quest’anno, “è stata rigorosamente esclusa la letteratura in Sardo”.

Apriti cielo. Lesa maestà. Un turbinio di proteste e prese in giro miranti a dipingerlo come talebano. Ma lui non ha assolutamente detto che chi scrive in italiano non è sardo, non ha mai detto che l’unica letteratura definibile sarda è quella scritta in lingua sarda: ha solo protestato perché in quel festival (e non solo) la lingua sarda viene lasciata in sala d’aspetto. E che sarà mai?

Credo che le stesse persone che si sono sentite offese, si sarebbero spellate le mani applaudendo se un intellettuale basco avesse protestato perché in un ipotetico “Festival di Bilbao” l’euskara fosse stato rigorosamente escluso.

Secondo me bisognerebbe considerare letteratura sarda sia quella scritta in sardo sia quella scritta in italiano, così come lo stesso popolo sardo è bilingue e si esprime sia in sardo sia in italiano.

Casula è un patriota, e da patriota ha giustamente difeso il diritto della sua lingua non di essere superiore alle altre ma solo di sedere a tavola con la stessa dignità delle altre. Specialmente quando quella tavola è a casa sua. Ma pare che al giorno d’oggi non si possa fare più una critica, nemmeno la più giusta e, direi, quasi scontata, che inizia il linciaggio e l’attribuzione di talebanismi mai professati.

Penso che la sua critica dovrebbe farci riflettere più che indignare. E penso anche che dovremmo riflettere parecchio sul fatto che il Premio Città di Ozieri e i pochi altri festival della lingua sarda in Sardegna sono piuttosto disertati non solo da gran parte della classe intellettuale ma dallo stesso pubblico sardo.

Dovremmo insomma chiederci tutti che cosa ne vogliamo fare di questa antica e bellissima lingua, la lingua che i nostri antenati hanno parlato per mille anni, che ha documenti di altissimo livello e che si è sviluppata diversi secoli prima che una lingua italiana unitaria fosse anche solo ipotizzata.

Dovremmo sentirci tutti dalla stessa parte in questa polemica e chiederci se non ci stia sfuggendo di mano qualcosa, perché non è normale che una lingua venga trattata come straniera in casa propria.

Vorrei insomma che il mondo della cultura fosse in prima linea nella difesa della lingua sarda, che si indignasse quando questa viene vilipesa, esclusa, minorizzata.

Vorrei che gli intellettuali sardi non accettassero come una cosa normale che la lingua sarda venga tenuta fuori dalla porta e lasciata morire.

Non ci si metta anche il mondo della cultura a dare una mano in questa pratica di apartheid contro la lingua sarda: per quello basta e avanza ciò che già fa la politica.