Quando ero bambina non ci si poneva il problema della o delle lingue, a casa si parlava solo sardo e a scuola (quasi) solo italiano, e io credevo, e mi sembrava, che anche nelle case degli altri accadesse lo stesso.

Non mi stupiva l’assenza dei libri in sardo, probabilmente non ne cercavo neppure, all’età 6 anni, con la scuola, l’italiano entrò prepotentemente nella mia vita con tutto il suo fascino di lingua (quasi straniera se volete) e ricordo che un giorno, all’epoca della contestazione soprattutto delle figure genitoriali, dissi a mio padre (terza elementare, sardofono, livello basico basico in lingua italiana) “vedrai: un giorno parlerò solo italiano e talmente bene che tu non mi comprenderai neppure!”.

Profezia che si autoavvera, povera me, non sapevo che oggi sarebbe stato davvero questo lo scenario che mio padre avrebbe davanti se solo fosse in vita.

Ti rendi conto della mancanza di libri in lingua sarda, quando diventi grande, scopri il mondo, e più che altro scopri che qualcuno ne scrive, pochi in verità e da ricercare quelli buoni e non perchè scritti male in sardo ma perchè scritti male tout court, che nella mia situazione di parlante terminale, spesso mi accontento di sintassi in bilico, gramatiche anarchiche e doppie a gogò pur di trovarvi un frammento della mia storia personale di sarda, pur di ridare un senso ad alcune parole udite poi perdute e poi ritrovate e rimesse al loro posto come pedine swarosky di una memoria linguistica in agonia.

Le recenti polemiche sul festival letterario di Gavoi, ancor più della morte inutile e tragica di Doddore, hanno rigirato il coltello nella piaga, piaga che assomiglia a un vuoto, un abisso simile a quello in cui si scaraventavano i padri in un mitico e ipotetico passato tutto sardo.

Le reazioni e i commenti degli intellettuali nati in Sardigna, i frutti di quel lavoro di sostituzione linguistica di cui ho visto l’alba, delle mie stesse compagne di scuola di allora, oggi sindache, giornaliste, maestre. quelle con cui parlavo in sardo e condividevo strafalcioni in italiano, mi hanno indignato, offeso e fatto sentire parte di un mondo arretrato, provinciale, antiquato, tutto teso a un’omologazione generale dalle Alpi allo stretto di Messina, isole comprese. Intellettuali che si spartiscono quel poco che rimane di una cultura messa all’angolo, zittita, storpiata e senza dubbio male interpretata.

In questo contesto lingua ha finito per far rima con folclore, a posteriori, seguendo vie traverse, nel fare copia e incolla culturali ma saltando ovviamente passaggi fondamentali, la tendenza perversa a eliminare il folclore da ogni accadimento culturale e con esso la lingua.

E non i festival letterari trovo ripugnanti in questi giorni (anzi in realtà io li adoro, così come adoro i libri e la letteratura di ogni genere) ma il corso, l’origine, le menzognere finalità, le scuse accampate per giustificare l’assenza della letteratura sarda innanzi alla folclorica manifestazione dell’uomo comune, quello che (in assenza di pensieri ben strutturati da proporre ai famigerati intellettuali, che la buona scuola in Sardegna non è buona per niente) grida all’italiga e diviene pseudo-indipendentista, nel peggiore dei casi ignorante e anti-italiano.

Questi i festival letterari presenti in sardegna, tutti in larga o minore misura sovvenzionati dalla Regione autonoma e da altre importanti istituzioni del territorio:
Isola delle storie, Gavoi
Letteratura e arte, Asuni
Festival tutte storie per ragazzi, Cagliari
Marina Cafe Noir, Cagliari
A libro aperto, Santu Lussurgiu (tra lingue letterature e arti per un mondo senza confini -evitando accuratamente la lingua e la cultura sarda aggiungo io)
L’isola raccontata, Montresta (promuovere la lettura e i libri soprattutto quelli sardi)
Sulla terra leggeri, Argentiera,
Cabudanne de sos poetas, Seneghe
Bauladu, Ananti de sa ziminera.

Questi ultimi due eventi sembrano essere quelli un po’ più orgogliosi della lingua e della cultura locali, in realtà esprimono gli stereotipi più comuni legati alla lingua, ovvero il sardo quale lingua legata in maniera indissolubile alla poesia e l’oralità, le storielle raccontate seduti attorno al camino, il folclore ottocentesco.

Per quanto riguarda l’isola delle storie, il festival è diretto da Marcello Fois, laureato in italianistica, vive a Bologna e la Sardegna se la gode d’estate, da buon turista, tra un festival letterario e l’altro, osannato e riverito come ‘scrittore sardo’, del resto è facile fare letteratura sarda in italiano, basta metterci un protagonista che si chiama Bustianu, qualche vicissutudine sempre in bilico tra balentia e crimine, qualche abito in vellutino e se sai scrivere bene in italiano vendi.

Quello denominato Letteratura e arte ad Asuni è diretto da Alberto Masala, anche lui residente nel continente, attivista della lingua italiana, pure lui, che lotta per i diritti linguistici dei popoli della Papua Nuova Guinea e però, ops, calpesta (senza volere sia chiaro) quelli dei sardi.

Il festival letterario per ragazzi Tutte Storie, ideato da Bruno Tognolini (sardo per caso, anche lui vive a Bologna) e portato avanti da una libreria cagliaritana, promuove autori internazionali ma tralascia ogni riferimento alla lingua sarda.
A libro aperto, Santu Lussurgiu, è organizzata da Riccardo Barracu, artista eclettico nato in Sardegna e emigrato a Berlino, anche lui fa resistenza ma in italiano e in tedesco.

L’isola raccontata di Montresta
Sulla Terra leggeri, festival nato all’Argentiera e poi divenuto itinerante est organizzato da Flavio (e Paola) Soriga assieme a Geppi Cucciari. Soriga è di fatto uno dei promotori, nel 2002, del (a dir loro) primo festival letterario della Sardegna. Soriga ne parla a un gruppo di scrittori, critici e animatori culturali cagliaritani (Giorgio Todde, Luciano Marrocu, Giulio Angioni, Cristina Lavinio, Manuela Fiori e Claudia Urgu, Francesco Abate).

Soriga ha già parlato dell’idea al libraio di Gavoi, Aurelio Pullara, che si è detto entusiasta e pronto a partecipare con i suoi amici, che sono tuttora tra gli organizzatori del Festival, il direttore sarà Giorgio Todde. In seguito, alcuni dei soci fondatori sceglieranno altre strade come organizzatori di festival e attività culturali. Manuela Fiori, Claudia Urgu e Bruno Tognolini faranno nascere il festival per ragazzi “Tuttestorie” e Flavio Soriga fonderà il Festival “Settembre dei poeti” di Seneghe e il festival letterario della Sardegna “Sulla terra leggeri”.

Con alcuni amici e colleghi del collettivo “Giallo acido” Soriga organizza poi, per il Comune di Florinas, il festival “L’Isola in giallo”.

Nel 2003 nasce anche Marina Cafe Noir, festival di letterature applicate, organizzato dall’associazione Chourmo che ha Giacomo Casti tra i fondatori.
Ora potete ben immaginare come vadano i festival letterari “della Sardegna”. Un paio di scrittori che amano definirsi “sardi”, che l’etichetta di sardo dona a quegli scrittori il valore aggiunto, la nota esotica necessaria a differenziarli dalla marea di scrittori “altri” che affolla il bel paese.

Tutti scrittori che in Sardegna manco ci vivono (e cosa volete l’isola è quello che è soprattutto l’inverno) ma che si autocelebrano (in vera e propria rete culturale potrebbe definirsi) tra un festival e l’altro, dalla primavera alla fine dell’estate, proponendo una bella letteratura internazionale ma escludendo a priori quella sarda e chissa che l’esclusione di codesta dalle svariate iniziative sia proprio una clausola all’interno del loro patto, o piuttosto (a me pare più probabile) questi signori non conoscono la letteratura sarda (e neppure la lingua mi viene da sospettare) e dunque danno per scontato che non ce ne sia, e se ce ne fosse sarebbe ‘pesante’ come la musica sarda, le cantadas etc. etc. e chi potrebbe interessare, visto che Soriga lo ha scritto testualmente, oggi i giovani sono tutti uguali da Selargius a Hong Kong.

Questi eventi culturali nascono e portano avanti la splendida opera di diffondere e far conoscere la letteratura internazionale, non c’è alcun dubbio, ma come tali li dobbiamo pensare, denominare, tenere in conto.

Che gli scrittori dell’isola abbiano il coraggio di denominarsi scrittori italiani e che i lettori sardi abbiano quello di incominciare a leggere letteratura sarda. E per finire che gli intellettuali sardi, quelli liberi da pregiudizi (se ce n’è), quelli senza complessi di inferiorità da cadenza, quelli che riescono a comprendere il diritto di un sardofono a esprimersi, vivere, leggere, scrivere, tirare su una famiglia nella propria lingua, non migliore, non peggiore, ma solo propria, compiano la nobile azione di creare un festival della letteratura che sia sardo davvero e non solo in Sardegna.