Lo confesso, sono già annoiato; per la precisione, annoiato e stufo.

Sono annoiato perché, a prescindere da quando saranno le elezioni in Sardegna, so già, per filo e per segno, cosa verrà detto e quale melassa si cercherà di propinare ai Sardi.

Ad esempio, so già quello che andrà a dire l’attuale partito di maggioranza al governo della Regione: dopo anni di propria amministrazione, totalmente inconcludente nella risoluzione dei problemi e irritante nell’atteggiamento di superiore distacco verso tutti i cittadini, sindaci compresi, i discorsi elettorali saranno improntati a un tentativo di smarcamento, peraltro già avviato, dal governo dei Professori e si cercherà quindi di rivendicare un ruolo maggiormente attivo per chi, invece, da vero politico, saprebbe – a dire loro – affrontare davvero le questioni.

Sopra questo discorso, al quale riconosco la oggettiva difficoltà di dover convincere cittadini invece pienamente consapevoli delle palesi incapacità della attuale squadra di maggioranza consiliare e di governo, verranno spruzzate timide striature di autodeterminazione, con cospicuo e temerario utilizzo di termini quali sardismo, indipendenza da Roma, vertenza sulle entrate, riconoscimento dei diritti, apertura di tavoli e bla bla bla.

Al contempo, so esattamente cosa cercherà di dire il più grosso partito di minoranza: forte delle sopracitate incapacità governative, si parlerà di cambio di rotta, di nuovi orizzonti, di “finalmente la Sardegna riprende a correre”; e, cosa che temo di più, non potendo più offrire al pubblico personaggi ormai scaduti e bocciati nel gradimento, che oltretutto hanno commesso il peccato mortale di avere dilapidato un patrimonio di voti di centrodestra in Sardegna, si porteranno avanti seconde e terze linee, quali timide foglie di fico dei sopra citati capi e capetti ormai impresentabili.

Anche qui, ovviamente, la peperonata di banalità elettorali verrà infarcita della medesima terminologia “specchietto per le allodole” che verrà utilizzata dall’attuale gruppo politico di maggioranza.

A questo riguardo, già si è partiti, zainetti in spalla, con un approccio finto rural-giovanile che, anche in questo caso, stride con quello che, durante il precedente governo regionale, fece il centrodestra: peggiorare le condizioni dei Sardi con una dedizione esclusiva alla tutela delle proprie clientele e alla gestione di favori agli amici mista a incapacità congenite.

Sento già noia anche per quello che cercherà di dire chi, forte di un consenso elettorale comunque minimo, ha sempre avuto, in queste ultime tornate elettorali, la indubbia capacità politica di posizionarsi dalla parte dei futuri vincitori, riuscendo a sfilarsi qualche minuto prima dalle posizioni di governo bellamente occupate, pronto a tradire gli amici di prima per dedicarsi ai futuri tradimenti dei nuovi compagni di avventure governative.

Dicevo che provo noia ma che sono anche stufo.

Stufo di credere che le prospettive di rilancio della Sardegna passino solo ed esclusivamente da questi schemi logori e fallimentari.

Stufo di credere che scegliere tra un governo di sinistra e uno di destra, così come ci vengono propinati, sia davvero l’unica opzione per gli elettori.

Questi ultimi venticinque anni sono stati sempre caratterizzati, nei governi regionali, da una rigida alternanza nelle scelte: sinistra, destra, sinistra, destra e poi ancora sinistra.

Alternanza, però, che non è mai dipesa da reali ottimistiche aspettative verso il nuovo governo quanto, piuttosto, dalla necessità che i Sardi avevano di esprimere, con la X nella scheda, il disgusto per l’operato del governo precedente.

Sono stufo di sentirmi prendere in giro da persone che non hanno una visione, una ambizione progettuale, fosse anche solo un sogno da inseguire.

Sono però anche stufo di sentir parlare di un tema fondamentale per la Sardegna, quale la autodeterminazione, esclusivamente riferito ad un distacco da “Roma ladrona”, quando è evidente invece che questo principio, per avere un senso, vada inteso come liberazione da tutti i condizionamenti, non solo territoriali ma anche clientelari e affaristici, che dettano legge qui come altrove.

Condizionamenti che, proprio in Sardegna, attività filantropiche a parte, hanno il loro epicentro in loco e non promanano da Roma ma, anzi, ne condizionano le scelte.

Sono stufo di non vedere inserito, al primo posto del programma elettorale, un concreto piano di riconversione ambientale di tutte le fabbriche inquinanti, con conseguente definitivo abbandono delle politiche che, in cambio di posti di lavoro, regalano morte ai cittadini dei paesi limitrofi.

Rappresenta un argomento di destra o di sinistra battersi per intavolare una vertenza (vera) sulle servitù militari, sull’immediata cessazione delle prove di guerra nelle acque territoriali sarde?

A chi mi devo rivolgere per chiedere che vengano fatti tutti gli sforzi per far rientrare a lavorare in Sardegna, e per la Sardegna, tutte le persone, soprattutto – ma non solo – giovani, che con le loro capacità e competenze si fanno valere all’estero?

Posso chiedere che ci si occupi davvero delle fondamentali infrastrutture di cui ha bisogno la Sardegna con un novello piano Marshall, basato magari sul migliore e massimo utilizzo dei fondi europei?

Piano che, inutile dirlo, andrebbe anche a incidere sui conseguenti problemi della mancanza di lavoro nelle zone interne e del loro conseguente spopolamento.

A quale campanello debbo suonare per vedere messo in primo piano il settore della agricoltura, decisivo per la Sardegna, magari coniugato con la innovazione tecnologica, ed evitare di vederlo invece umiliato, come avvenuto di recente, e per lunghi mesi, dalla totale assenza di un referente nella Giunta?

Mi permetto di ribadire che, raggiunto questo punto di crisi, economica e sociale, non sia più una questione di colori e casacche vestite in precedenza ma occorra creare un progetto comune, tra persone di buona volontà, che abbia come unica prospettiva quella di perseguire degli obiettivi rivolti al bene della Sardegna; un progetto dove prevalga il merito delle cose più che la appartenenza e dove ognuno possa portare il suo bagaglio di sapere senza timore di non essere ascoltato e senza correre il rischio di vedersi preferito il figlio, l’amante o il genero del potente di turno.

Parliamo di sogni, di utopie inutilmente rincorse?

Forse, probabilmente sarà anche così, non lo so.
Però, allo stato attuale, alla noia ed alla frustrazione per i futuri inutili discorsi che saremo costretti a sentire, preferisco comunque il dolce sapore di un sogno a lieto fine

*avvocato