Se c’è una cosa di cui la sottoscritta ha paura, ma una paura folle è il fuoco. Il fuoco degli incendi. Il solo pensiero del fumo e dell’odore di bruciato che accompagna un incendio fa raggelare il sangue.
E già di per se l’accostamento del raggelamento nonostante il fuoco da bene l’idea di quanto questa sensazione di paura sia potente e prepotente.
Però in Sardegna, in cui la stramaledetta piaga degli incendi pare non si voglia mai attenuare, a leggere i comunicati stampa di qualche giorno fa possiamo dormire sonni tranquilli: la Giunta regionale ha approvato il piano regionale antincendi e quindi tutto è perfettamente pronto e operativo. Dicono loro, eh.
Che poi perché in Sardegna funzioni tutto “a piani” non l’ho mai capito: il piano casa, il piano neve, il piano di utilizzo dei litorali, il piano regionale antincendi ecc ecc. Che mi verrebbe da dire che per fare dei bei piani servirebbero quantomeno delle solide fondamenta su cui possano poggiare.
Quindi non so se questa cosa di fare piani senza fondamenta sia una strategia per dire alla prima occasione “ma noi il piano l’avevamo fatto” oppure è proprio uno dei tanti problemi strutturali di cui tanto parliamo.
Ecco, tra i problemi strutturali aggiungerei immediatamente anche questo: l’abitudine di fare piani senza fondamenta. Destinati – ohibò – a collassare su se stessi.
Gli incendi, dicevamo. Quelli che il Piano regionale è pronto a contrastare anche se dovessero scoppiare tra pochi secondi. Si sì, ho scritto proprio pochi secondi.
Perché con questa afa fuori stagione e con una siccità così prepotente che non si vedeva da anni basta davvero un attimo perché si scateni l’inferno.
Non so quanti di voi hanno fatto un giro intorno ai paesi che quest’inverno sono stati colpiti dall’emergenza neve e poi dalle alluvioni. Senza bisogno di avventurarsi nei boschi basta guardare le campagne lungo strada. Ovunque si notano alberi divelti, spaccati a metà e sradicati. Piante con le loro fronde ormai secche che giacciono a terra su cui il fuoco avrebbe vita non facile, ma facilissima.
Dove hanno potuto i proprietari dei terreni hanno ripulito ma le decine di centinaia di ettari incolti (ah le terre incolte…) sono totalmente abbandonate a se stesse e al cimitero degli alberi caduti. Lasciamo alla nostra immaginazione quale possa essere lo scenario nei boschi di alberi secolari ricadenti su terre pubbliche. Boschi in cui nella migliore delle ipotesi ci sono i cantieri forestali che dovrebbero in questi mesi aver ripulito tutto e “donato” il legname alle comunità nelle quali lavorano. Sicuri sia così? Manco per idea.
Da mesi gli operai dell’Agenzia Forestas per via di una mostruosità burocratica (strano, in Sardegna queste cose non succedono) non possono utilizzare nessun tipo di attrezzatura e sono quindi impossibilitati a svolgere il loro lavoro.
Operai forestali demansionati, senza mansioni e senza un contratto di lavoro degno delle loro professionalità, costretti a pestare erba anziché sfalciarla. Costretti a guardare gli alberi anziché occuparsene. E sottolineo costretti. Gli stessi operai che dovrebbero essere già operativi (secondo “quel” piano di cui sopra) per la lotta agli incendi ma per lo stesso motivo per cui non possono accudire i boschi non possono spegnere gli incendi. Uno scherzo, praticamente.
E poi ci sono i barracelli che in molti comuni sono gli unici avamposti da sempre per il controllo delle campagne e compagni indispensabili per la lotta e la prevenzione agli incendi. Peccato che anche loro, inseriti come parte integrante e sostanziale del piano quando richiedono mezzi e attrezzature idonee per fronteggiare il fuoco si sentono rispondere che sì, i mezzi ci sono.
Ben 50 fuoristrada biposto in chissà quali parcheggi regionali. Ma sono delle macchine provenienti dall’India (potere degli appalti) che nessuno vuole perché non adatte ai territori impervi ma soprattutto perché hanno bisogno di manutenzione e i pezzi di ricambio – sic! – dovendo arrivare dall’altra parte del mondo non saranno in Sardegna prima dell’autunno.
Non dimentichiamoci dei comuni però, anello ultimo ma unico responsabile di protezione civile in caso di emergenza nel proprio territorio. I comuni che sono obbligati da legge regionale ad effettuare gli sfalci in tutti i propri territori entro il 15 giugno. Con quali soldi? Con quelli di bilancio, ovviamente. Sottraendo risorse a chissà quali servizi.
Anche perché con i vincoli non c’è alcuna possibilità di accedere agli avanzi di amministrazione che sono congelati per sanare debito dall’altra parte del mare. I Comuni fanno quel che possono, ma basta arrivare in un qualunque paese della Sardegna per rendersi conto della situazione già dagli ingressi. Figurarsi la condizione delle strade rurali.
Le province per la pulizia delle strade non sono pervenute, ma per loro era importante la proroga dei commissari di nomina politica fino a dicembre, perché le elezioni rischiavano di portare ad una gestione troppo democratica di tutto l’ambaradam.
Intanto gli invasi e le scorte d’acqua diminuiscono giorno dopo giorno. Sulla capacità della Sardegna di “conservare l’acqua” magari un giorno servirà un altro trattato. Quindi è abbastanza verosimile che spegneremo gli incendi soprattutto con acqua di mare, che per fortuna è ancora lì, a segnare le distanze e il nostro confine con uno Stato da cui ognuno di noi si sente ogni giorno più lontano. Acqua di mare che sappiamo bene che effetti ha sui terreni su cui viene lanciata.
Una cosa manca assolutamente nel piano: la prevenzione. La prevenzione e la cultura. Ogni bambino sardo dovrebbe sapere cosa significa avere un cerino in mano ma soprattutto dovrebbe sapere cosa significa amare un albero alla follia.
Ma evidentemente questa non era e non è una priorità per il Piano regionale antincendi.
Dobbiamo solo sperare che non succeda nulla, e soprattutto, vi do un consiglio spassionato: se scoppia un incendio non affidatevi ai Piani alti. Potrebbero collassare da un momento all’altro.
no comment
Interessante quanto é stato scritto a proposito del piano regionale antincendio concordo che sulla carta apoarentemente tutto va bene na in realta anche l anno scorso la macchina “antincendi” era oerfettamebte a punto peccato che sono andati distrutti 15000 ettari tra boschi e macchia mediterranea eppure la campagna antincendio e costata circa 100 milioni di euro (quando c’era la lira costava 25-30 miliardi di vecchie lire ).
La pulizia del bosco e delle cunette è utile come le fasce tagliafuoco solo per gli incendi colposi che sono una piccola percentuale rispetto a quelli dolosi che vengono appiccati quando c è vento forte e normalmente passano direttamente sulla chioma degli alberi senza nemmeno interessare il sottobosco.
Per capire meglio cosa c e dietro agli incendi e anhe utile leggere a storia di qualche anno fa conclusa con l arresto del proprietario della società di gestione dei canadair e l arresto del mese scorso in Calabria di dirigenti della protezione civile che hanno pagato piu volte un azienda di Elicotteri impiegati per lo spegnimento degli incendi.
Si puo evitare all origine gli incendi dolosi ..gia dimostrato..ma la politica evidentemente ha altri interessi.
Quindi, per dirla tutta… c’è sempre “la zampa” politica di mezzo. E’ chiara ormai la loro incompetenza, e come se non bastasse sembrano accanirsi perché la situazione degeneri. Non permettono agli operai di Forestas di fare il loro lavoro , nemmeno quel poco che facevano prima, ora addirittura è impedito loro di lavorare, vengono retribuiti con soldi nostri per una beata….siamo al p a r a d o s s o ! Mi chiedo e le chiedo, Anthony Muroni: se non sono serviti 100 anni di mala-esperienza sugli incendi, piaga atavica della nostra Terra, se non serve neppure tutto questo pòpò di tecnologia con la quale si potrebbe vedere in tempo reale ciò che accade in ogni dove, se non c’è volontà di debellare questa piaga, cosa dovremo fare? Oltre ad insegnare ai bambini l’amore per la propria terra, dovremo
prima farlo capire ai GRANDI , governanti in primis!