La rappresentanza negata a donne e nuovi movimenti: dopo quasi quattro anni in tanti hanno dimenticato la vergogna di quel Consiglio regionale. Ma non bisogna mai dimenticare.

A giugno del 2013 sapevamo solo che i partiti maggiori, pochi mesi prima, avevano varato una legge elettorale che – a tavolino – aveva stabilito di escludere dal Consiglio regionale i movimenti che si sarebbero presentati fuori dai due grandi Poli alle elezioni del successivo febbraio.

Non sapevamo ancora che c’erano consiglieri regionali che si erano pagati il matrimonio con i soldi dei fondi ai gruppi. E non sapevamo che altri sarebbero finiti nei guai per aver – con gli stessi soldi pubblici – comprato penne Mont Blanc, antichi e preziosi libri, maialetti e chi più ne ha più ne metta.

Non sapevamo che c’era un presidente del Consiglio regionale – dell’età di 41 anni – che da là a pochi mesi avrebbe iniziato a percepire un vitalizio di qualche migliaio di euro.

Sapevamo, però, che la maggioranza di quel Consiglio regionale – votando a scrutinio segreto – era pronta a tutto: per prima cosa a espungere dal sistema elettorale la doppia preferenza di genere.

Una decisione che ha portato all’elezione di un’assemblea in cui le donne sono fortemente sottorappresentate (4 su 60), in controtendenza rispetto alle altre assemblee regionali.

In quell’occasione –  quattro anni fa, quasi in solitudine, rispetto al mondo dei prudenti osservatori esterni – scrissi sulla prima pagina de L’Unione un articolo che era intitolato: “L’onore perduto dietro il muretto a secco”.

Finiva così: “È una scelta che certifica un modo vecchio e poco coraggioso di fare politica e che, dopo il triste spettacolo di ieri, relega il Consiglio regionale sardo nelle retrovie delle istituzioni democraticamente avanzate. Spiace notare che chi ha proposto e reso possibile questo escamotage non si sia reso conto delle conseguenze e della reazione dell’opinione pubblica. Ora i movimenti che chiedono una svolta politica nell’Isola – non in termini ideologici ma rivendicando elementari diritti – non vanno lasciati soli. Perché allo sconforto può subentrare il timore. E, per dirla con Umberto Eco, niente infonde più coraggio al pauroso – che in fondo alla sua coscienza sa di essere dalla parte del torto – che la paura altrui. La battaglia è appena iniziata”.

Quasi quattro anni dopo, confermo parola per parola.

Coraggio, per chi ne ha.

Alla Sardegna servono dibattito e fermento riformatore: questo Consiglio regionale ha ancora due anni per dimostrare quel che non è accaduto nel primo triennio: essere migliore del precedente.