La mia generazione ha sempre guardato positivamente all’Europa, più avanti in alcune questioni importanti come il pluralismo linguistico e la tutela delle minoranze, anche se non può negarsi che uno degli aspetti più controversi di tutto il processo di integrazione comunitaria sia stata proprio l’assenza, fin dall’origine, di disposizioni volte a tutelare i diritti fondamentali dell’ uomo.

Infatti, i Trattati istitutivi della Comunità Europea non contenevano un catalogo dei diritti fondamentali e la stessa Convenzione Europea dei Diritti fondamentali dell’ uomo del 1950 prevedeva unicamente un generico divieto di discriminazione per motivi linguistici, ma non la possibilità di far attivare politiche attive dagli Stati membri. Fu necessaria, a tal fine, una lunga produzione giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia Europea e la sua definitiva attuazione normativa avvenne solo negli anni 90.

L’ idea che la diversità linguistica fosse da ricondurre ad una specifica normazione emerse anche grazie ai movimenti europei che rivendicavano i diritti dei gruppi minoritari, per la cui tutela non poteva essere sufficiente un generico divieto di discriminazione.

Una tappa fondamentale nel processo di integrazione europea, fu l’ elezione diretta dei membri del Parlamento e fu proprio quel primo Parlamento così autorevole che nel 1981 approvò la prima risoluzione in materia di diritti linguistici (Risoluzione Gaetano Arfe’ -Carta Comunitaria delle lingue e culture regionali ) che rappresenta una tappa fondamentale nel processo di integrazione europea, indicando nel pluralismo linguistico un valore culturale importante in vista della unificazione europea. Senza questa risoluzione non ci sarebbero state la risoluzione Kuijpers del 1987 ( Risoluzione sulle lingue e le culture delle minoranze regionali e etniche nella Comunità Europea, alla cui elaborazione con proprie proposte, contribuì anche il parlamentare europeo Michele Columbu ), la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1992 e l’ importantissima Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona , ha lo stesso valore giuridico dei Trattati dell’ Unione.

Ma veniamo ai nostri giorni, in Italia. A che punto siamo ?

Purtroppo, ancor oggi, dobbiamo constatare la mancata ratifica della Carta delle lingue regionali e minoritarie il cui meccanismo prevede che il singolo Stato possa scegliere non solo le lingue da tutelare ma anche le misure da adottare per la loro salvaguardia . E’ evidente che assicurare l’istruzione nella lingua minoritaria o assicurare una parte rilevante dell’istruzione nella relativa lingua , rappresenti indubbiamente una efficace forma di tutela.

E’ quindi chiaro che, se si vuole dare una reale effettività al principio del plurilinguismo e garantire una vera integrazione, si deve spingere per far approvare un livello alto di tutela per il sardo, altrimenti si rischia di confermare lo status quo che poi è quanto già previsto dalla legge n. 482/1999. In altre parole le misure di tutela del sardo e del friulano non devono essere più basse di quelle dello sloveno e ladino, per non dire del tedesco e francese.

La verità è che la questione del pluralismo linguistico e della tutela delle lingue minoritarie, non sembra proprio rientrare nell’ agenda politica dei partiti italiani o delle istituzioni che in questo caso, come in altri, sembra siano europeisti e favorevoli all’integrazione culturale solo a parole.