In un editoriale della scorsa settimana Vittorio Feltri ha dichiarato di voler dare il pieno appoggio del quotidiano Libero alla campagna, ancora in embrione, perché previo referendum consultivo i due “governatori” di Lombardia e Veneto Maroni e Zaia possano ottenere “la delega per trattare con il governo centrale una legge costituzionale che includa le loro regioni tra quelle a statuto speciale”.

Al di là dell’evidente populismo è interessante notare il ritorno nel dibattito pubblico del vecchio cavallo di battaglia di Bossi & Co.: quel “federalismo” che, presentato durante i primi anni ’90 come sostantivo rivoluzionario, è via via diventato luogo sempre più comune e stantio all’interno dell’agenda politica e mediatica, al punto da essere svuotato completamente del suo significato.

Non entro nel merito dell’opportunità o meno di estendere questo istituto a ulteriori regioni in aggiunta alle attuali cinque. Mi limito a dire che lo Statuto siciliano fu molto prosaicamente concesso per tagliare l’erba sotto i piedi all’allora fortissimo movimento separatista e che anche il Trentino deve il suo status di Provincia autonoma a motivazioni non etniche ma storiche, essendo stato per secoli parte integrante dell’impero degli Asburgo fino al punto da essere identificato come Tirolo di lingua italiana.

Di conseguenza non vedo nulla di strano nella concessione a ulteriori aree peninsulari di condizioni particolari di autonomia che nella fattispecie troverebbero un’evidentissima giustificazione nel disequilibrio tra entrate e uscite fiscali di Veneto e Lombardia: insomma, una questione spicciola di spiccioli, di “danè”.

Ma la notizia potrebbe avere un impatto non piccolo anche sulla nostra isola: un moltiplicarsi di specialità spingerebbe infatti noi sardi a valutare le motivazioni alla radice della nostra identità istituzionale ma anche, anzi soprattutto a guardare al nostro stesso avvenire.

In sintesi estrema abbiamo di fronte a noi abbiamo tre possibili strade:
– un semplice aggiornamento dello Statuto e insieme l’attuazione delle sue parti rimaste inapplicate;
– la sua soppressione, sic et simpliciter;
– la contrattazione di uno Statuto completamente nuovo e avente senza troppi giri di parole come modello quelli delle più avanzate autonomie continentali, a partire dalla Catalogna.

Chiediamoci quale fra queste tre alternative riteniamo la migliore, la più adatta alla Sardegna del ventunesimo secolo, perché è su questa scelta che si giocherà una parte importante del nostro futuro.