Pubblichiamo questa intervista apparsa sul blog Pesa Sardigna nella giornata di lunedì 27 febbraio. Su concessione dei gestori di quel sito la condividiamo anche con i lettori di questo spazio web.

Anthony Muroni, dopo esserti dimesso da direttore dell’Unione Sarda hai aperto un blog di discussione sulla Sardegna e i suoi problemi. Perché?

Le dimissioni sono arrivate in maniera così repentina – e sono state interpretate dall’opinione pubblica come il classico “fulmine a ciel sereno”, che non c’è stato proprio il tempo di pianificare nulla. Dopo oltre un mese di silenzio ho ritenuto che non fosse opportuno deludere chi si riteneva orfano di una voce che cantava fuori dal coro. Ho dunque deciso, confrontandomi con pochi amici, che fosse opportuno proseguire le battaglie che avevo portato avanti per anni, facendomi megafono di quella vasta parte della società sarda che non si sente più rappresentata da questa politica e da queste classi dirigenti. Così è nata l’idea del blog: un luogo virtuale da far diventare pubblica piazza. Un luogo di confronto aperto a tutti i contributi. Lo gestisco da solo, con apporti esterni volontari. Ho rifiutato la pubblicità perché ho bisogno di sentirmi davvero libero.

Come sta andando?

La risposta è stata entusiasmante. Evidentemente c’era davvero bisogno di un luogo di discussione, confronto e proposta. Oggi cadono i quattro mesi dall’apertura di questo spazio web: abbiamo pubblicato 350 tra articoli e interventi, ricevuto oltre 1300 commenti. Le pagine viste, a oggi, sono 520 mila e gli utenti unici 190 mila. La nostra pagina Facebook ha 16 mila iscritti e cresce al ritmo di mille nuove adesioni a settimana.

Il tuo blog è bilingue. Perché questa scelta?

Tra le battaglie che in questi anni ho portato avanti sia da giornalista che da privato cittadino c’è quella della riscoperta e difesa dell’identità nazionale. Un tratto importante passa dalla nostra storia e l’altro, decisivo, dalla lingua. Molto resta da fare, a livello di battaglia culturale e politica, per far capire a tutti che la lingua è uno strumento di trasmissione delle conoscenze e di gestione dei rapporti in ogni settore socio-economico. Viviamo in un continente formato da 377 isole linguistiche che vanno preservate ma abbiamo bisogno di una ortografia ufficiale e unificante. Il dibattito in materia resta aperto e tutte le proposte sono bene accette. Ma poi occorrerà arrivare a sintesi.

Insieme al blog stai organizzando diversi incontri territoriali dove parli di “modernità”, “innovazione” e “fare sistema”. Cosa vuol dire?

Ho da tempo, almeno sei anni, maturato la convinzione che il bene della Sardegna non passa dal falso bipolarismo italiano, persino peggiore nella sua declinazione sarda. E non passa nemmeno dalla proposta antisistema del Movimento 5 Stelle. Gli incontri nei territori sono figli della miriade di inviti che ho ricevuto per parlare in pubblico delle questioni dibattute sul blog. I temi della proposta, dell’Innovazione, della modernità, del fare sistema sono assolutamente necessari per costruire una novità credibile, capace di suscitare speranza e di proporsi per sostituire l’attuale classe politica. Criticare, lamentarsi e demolire l’esistente non è sufficiente.

Il movimento indipendentista in questi anni ha sollevato molti dei temi di cui tratti. Che differenza c’è tra ciò che proponi e il progetto di convergenza unitaria attualmente in corso?

Credo sia in corso un processo troppe volte rimandato. Mi pare si stia facendo lo sforzo di privilegiare le cose che possano unire il fronte dell’autodeterminazione, mettendo per un attimo da parte quelle che per molto tempo l’hanno diviso. Stiamo lavorando in maniera parallela: io incontro centinaia di persone che forse non hanno mai votato fuori dal binario del bipolarismo italiano. Il mio compito – culturale, prima che politico o partitico – è quello di aprire loro uno scenario possibile, alternativo, che fin qui non avevano preso in considerazione. Per vincere bisogna arrivare almeno al 40%, dunque occorre più che raddoppiare la potenziale area di consenso dalla quale il polo dell’autodeterminazione parte.

Hai giustamente dichiarato che questo è il momento del dibattito. Ma alla fine bisognerà tirare le somme. Non è stato prematuro annunciare che non ti candiderai?

Sarebbe semmai stato prematuro annunciare che mi candiderò. Io ritengo che le auto-investiture siano il peggio della politica. Per essere leader bisogna essere riconosciuti come tali da una comunità molto vasta e bisogna avere caratteristiche precise. Oggi il fronte dell’autodeterminazione non ha bisogno di un capo che dica “Armiamoci e seguitemi” ma di una polifonia costruttiva, che lavori ad allargare il fronte e a creare prima un manifesto che tracci il perimetro dell’alleanza e poi un programma. Il leader arriverà di conseguenza. Non ho un partito, né ne fonderò uno. Sono a disposizione nella fase di costruzione. Il resto lo decideranno i cittadini e i vari movimenti.