(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

In Sardegna è tutta un’emergenza.

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Piove e si allagano interi quartieri, crollano le strade ed esondano i torrenti. E quando la pioggia è solo minacciata chiudono comunque le scuole.

Fa caldo e i boschi vengono distrutti dagli incendi, il fuoco travolge intere aziende agricole e minaccia gli abitati.

Nevica e tutta la Sardegna centrale si blocca: le partorienti raggiungono gli ospedali in maniera rocambolesca, le aziende agricole e zootecniche rimangono isolate, la vita si ferma.

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In Sardegna è sempre emergenza, come ha detto nei giorni scorsi la sindaca di Fonni.

Perché? Sarà, come fa notare il bravo cronista Enrico Fresu, perché nel 2017 dispone di un’organizzazione dell’annudré (alla sassarese): non c’è un sito, una app, un sistema che metta in rete le emergenze e le risorse, che fornisca informazioni. E soprattutto manca una pianificazione/prevenzione veramente efficace.

Tutto è lasciato alla buona volontà di qualche assessore che – meritoriamente – cerca di stare telefonicamente vicino ai sindaci. Amministratori locali che, sempre di più, tengono in piedi la baracca pur senza avere fondi e considerazione da chi governa a livello centrale.

Ma in Sardegna tutto è emergenza perché sull’emergenza nascono e si perpetuano le carriere, i sistemi e le “soluzioni” all’emergenza.

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In questo quadro lo Stato brilla per la sua assenza: agli eroici interventi di carabinieri, Polizia e vigili del fuoco fa da contraltare il clamoroso ritardo con il quale la Difesa sta rispondendo all’appello dei sindaci (altri eroi) che chiedono disperatamente l’intervento dell’Esercito.

Eppure siamo la Regione che ha più servitù militari.