(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

Nel segnale stradale che compare all’ingresso della cittadina di Amatrice c’è scritto: Amatrice, 955 m. s.l.m., la città degli spaghetti all’amatriciana. In un’altra cittadina della Sardegna c’è scritto: Ollolai, 960 m. s.l.m., manca la scritta “la città dei macarrones de busa”, poiché purtroppo si è quasi persa la tradizione culinaria.

C’è da dire però che gli spaghetti sono un’invenzione recente, poiché prima, quando la pasta si faceva a mano, si utilizzava un ferretto per fare gli spaghetti bucati, più o meno come i bucatini di oggi, che in Sardegna si chiamavano “macarrones de busa”, perché si bucavano con un ferretto che si chiamava “busa”.

Il cognome “Busa”, Busia o “Busieddu” deriva proprio da questo ferretto.

La pasta che le donne di Ollolai utilizzavano per fare i “macarrones de busa” veniva fatta con farina di grano sardo lievitata, ovverosia mescolata con lievito naturale inacidito (la parola inacidito, dal latino “acidus”, in sardo la traduciamo con “achidadu”, che significa fermentato per una settimana). Una volta lavorata e lasciata lievitare, la pasta era pronta per la cottura.

Prima che Colombo portasse i pomodori dall’America, il sugo si faceva con la carne di maiale o di pecora rosolata con olio di oliva. Il condimento veniva mischiato ai maccheroni e sopra veniva gettata una bella spolverata di pecorino grattugiato.

Anche ad Amatrice la pasta si condiva alla stessa maniera di quella di Ollolai, con carne di maiale o di pecora e formaggio grattugiato.
Gli abitanti di Amatrice non si chiamano Amatriciani, ma Matriciani, senza la “A” (che forse in origine era la vocale dell’articolo o della preposizione), e anche il paese, prima, non si chiamava Amatrice, ma Matrice. Questo sostantivo femminile in latino fa parte della III declinazione e nell’accusativo singolare esce con “matrice(m)”. Se andiamo a leggere questo lemma in latino classico, o restituito, ovverosia nella parlata antica, lo pronunciamo “matriche”, che è la forma nuorese della “madrighe” logudorese.

Il significato di questo termine porta all’origine della vita e significa: progenitrice, femmina, matricola, fonte, utero. Per tanto, c’è comune etimologia tra la matrice dei maccheroni di busa e i bucatini all’amatriciana.

Gli Amatriciani rassomigliano molto ai Barbaricini, poiché la montagna rinforza il cuore, e la voce esce dalla gola più dura e forte. Quando camminano, i Barbaricini e i Reatini tengono il passo lungo e fanno tre a uno ai cittadini abituati a camminare in pianura. I Reatini di Amatrice e i Barbaricini di Ollolai, quando ridono, ridono a denti stretti e, quando piangono, piangono senza lacrime. La dignità di queste popolazioni degli Appennini e della Barbagia non deve però essere confusa con la loro capacità di essere invulnerabili alle forze avverse della natura e, pertanto, in questo momento hanno bisogno del nostro aiuto.

Chi è nelle posizioni di comando, a livello nazionale e regionale, deve muoversi immediatamente e mandare in quei posti esercito e protezione civile con viveri per gli uomini che stanno nelle campagne e mangime per gli animali affamati. Occorre liberare con qualsiasi mezzo le strade e ripristinare la corrente elettrica e i collegamenti telefonici.

Passata la tempesta, forse, un giorno gli Amatriciani si troveranno insieme con gli abitanti della Barbagia. Sicuramente saranno a loro agio gli uni con gli altri quando parleranno del riso e del pianto e quando mangeranno insieme macarrones de busa o bucatini all’amatriciana.