(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

Io sono uno di quelli che non credono all’ipotesi di elezioni anticipate.

Anzitutto perché mi auguro che molto presto il presidente Francesco Pigliaru si rimetta in piena forma. E poi perché sono certo che gli unici a cui questa ipotesi converrebbe – vale a dire i partiti del centrosinistra al governo – non abbiano la forza né di condizionare Pigliaru fino a farlo dimettere né di tenere unita la variegata compagnia nel farsi sostenere su questa tesi.

Perché mai il centrosinistra – o, meglio, i più “fini” tra i tessitori del centrosinistra – potrebbe essere l’unico interessato a votare subito? Anzitutto perché tutti gli indici di gradimento – la serie storica degli ultimi 18 mesi, molto più severa del rilevamento Ipr marketing, combinata al risultato del referendum del 4 dicembre scorso – dicono una cosa impietosa: più Pigliaru, Paci e Maninchedda (gli unici tre che determinano gli atti della Giunta) governano e più il centrosinistra perde voti.

Perde quelli “pesanti”, quelli di opinione. Quelli che non si riesce a rimpiazzare con gli acquisti a prezzo di saldo in Consiglio regionale o sui territori. Dunque, i più “politici” si sono trovati di fronte al dubbio: resistere nel fortino un paio d’anni – con la certezza di essere poi condannati all’opposizione o di dover ricorrere all’ennesima giravolta per sopravvivere – o dare dei corvi agli altri e puntare a una segreta accelerazione?

De resto le condizioni per sperare di limitare i danni e persino rivincere ci sono tutti. La componente sovranista del centrosinistra – ridotta a un solo partito, rispetto ai 3/4 iniziali – si è comunque rafforzata e spera di attrarre sardisti e quel che resta dell’Udc.

Ma la componente più importante è un’altra: gli avversari non sono pronti.

Il centrodestra, fidandosi della evidente crisi di consensi della Giunta, è convinto di essere rimasto al 2009: “Se perde il centrosinistra, è automatico che vinciamo noi”.

Peccato che il mondo sia cambiato. Dunque si assiste a un riposizionamento e a una scaramuccia all’interno del gruppo consiliare, finalizzato a mettere opzioni sulle candidature alle prossime Politiche e, di conseguenza, opzionare il posto di candidato alla Presidenza. Con un grande assente: il programma e un modello di sviluppo di assoluta rottura rispetto al passato, anche alla Giunta Cappellacci, per intenderci. Se il centro destra non fa questo, altro che vittoria: lotterà per arrivare terzo o quarto.

Sul fronte del Movimento Cinque stelle il silenzio è assoluto: il potenziale nei rilevamenti è alto ma, incredibilmente, crolla quando si dà un nome qualsiasi al possibile candidato alla presidenza e lo si mette a confronto con i possibili avversari. Diciamo che in questa fase i grillini sembrano scontare una sorta di effetto-Cagliari, in cui la loro lista è rimasta molto al di sotto rispetto alle prestazioni elettorali negli altri Comuni capoluogo.

Grande incertezza c’è anche nel fronte dell’autodeterminazione. Non solo l’unità tra le forze già in campo e quelle che potrebbero arrivare da altri campi è lontana, ma anche il dialogo stenta a partire. Si tratta di processi medio-lunghi e certamente le elezioni immediate rischierebbero di soffocare nella culla un sentimento che invece, nell’opinione pubblica, ha un grande elettorato potenziale, capace addirittura di far competere questo schieramento per la vittoria finale.

Esagerazioni? No, cari signori. Il mondo è cambiato e la Sardegna e il suo elettorato pure. Il crollo della fiducia nei confronti dei partiti tradizionali è stato verticale tra il 2014 e il 2015 anche nella nostra Isola. Guardare ai risultati del 2013 è miope e in molti rischiano di ipervalutarsi.

E già i dati del 2013 dicevano cose che sono passate in secondo piano per effetto della sciagurata legge elettorale che Pd e Forza Italia hanno varato alla fine della scorsa legislatura. A seconda Repubblica ancora vigente, nel 2013 il possibile fronte dell’autodeterminazione e della modernizzazione della Sardegna (unendo i voti dei candidati a presidente Murgia, Pili, Devias e Sanna) ha portato a casa 130 mila voti. E quanti altri avrebbe potuto pescarne nella folta schiera degli astenuti, se avesse proposto un progetto unitario, ancora più credibile e di governo della Regione? Non lo sapremo mai. O forse lo sapremo nel 2019.

In quanti sanno che un partito come Progres – oggi poco considerato, quasi irriso e irregimentato nella schiera dei “partituncoli che compongono il fronte indipendentista”, ha preso più voti del Partito dei Sardi, dei Rossomori, del Centro democratico, di Rifondazione comunista, dell’Upc, del PSI, dell’Idv, di Irs (più del triplo), della Base (il quadruplo), tutti felicemente vincenti grazie a Pigliaru. E Pigliaru grazie a loro.

Ci saranno grosse sorprese, alle prossime Regionali. Eppure i partiti con testa e cuore a Roma fanno finta di non accorgersene. Meglio così.

La furbata dell’accelerazione, del voto anticipato, non riuscirà ai gatti e alle volpi dello schieramento (ex) progressista e (ex) sovranista: forse non riusciranno a chiudere il rimpasto ma dovranno per forza varare una finanziaria. Se li conosciamo bene e se interpretiamo al meglio i segnali che arrivano, non ce la faranno prima di maggio.

E poi c’è da cambiare la legge elettorale: non credo che nessuno si sogni di lasciare la Sardegna come unica Regione senza una qualche regolamentazione in materia di rappresentanza di genere. Sarebbe l’ennesima sfida all’opinione pubblica, che Pd e Forza Italia pagherebbero cara.

E vedrete che in qualche maniera verrà addolcita anche la questione della rappresentanza degli schieramenti “minori”, anche perché questa volta potrebbe toccare a uno dei poli fin qui sempre maggioritari arrivare terzo o quarto.

Dunque, alla fine, giustamente e fortunatamente, voteremo a febbraio 2019. Sia perché il presidente Pigliaru si rimetterà presto in salute, sia perché (altrettanto fortunatamente) non ci sono le condizioni politiche per avventuristiche accelerazioni.

A pagarne le spese sarà la Sardegna (non sappiamo se interpretare come minaccia o promessa le dichiarazioni di Paci apparse oggi su L’Unione: “Siamo pronti a ripartire di slancio”) ma almeno ci sarà tutto il tempo per far crescere il dibattito pubblico e preparare una giusta alternanza, più giusta e più moderna.