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Non è vero che il governo regionale attuale ha fallito in tutte le sue azioni. Per la questione linguistica ha mantenuto le promesse che aveva fatto: distruggere tutto ciò che si era costruito.

Alla fine del 2013 e nei primi mesi del 2014, in piena campagna elettorale per le regionali, uno degli obiettivi perseguito dagli anti-lingua sarda, con l’elezione di Pigliaru, era di narcotizzare la politica linguistica.

Pigliaru, consigliato da professori e da politici improvvisati e folkloristi, l’aveva scritto anche nel suo programma elettorale. A suo parere era necessario superare “i facili slogan” e le “politiche dubbie” costruite con pazienza dal movimento linguistico negli anni di Soru e Cappellacci, anche con comportamenti entristi e mimetici all’interno dell’amministrazione. Inoltre, così almeno si leggeva nelle linee programmatiche, si riportava l’attenzione al fatto che il sardo fosse una lingua fatta di tante varianti e quella doveva essere la musa ispiratrice, la bussola del governo. In sostanza si trattava di una critica alla politica di standardizzazione del sardo a favore di una lingua comune scritta e ufficiale per tornate a una dialettizzazione simbolica e concreta. Il contrario d quanto previsto dalla legge statale 482/99.

Passati tre anni, l’assessorato della Pubblica Istruzione si può dire che abbia raggiunto questo obiettivo con una politica attenta e anche sfacciata, per certi versi. Come sempre nella politica linguistica “orientalista e post coloniale”, si è fatto finta di essere a favore di ciò che si doveva combattere. A quanto pare, nonostante tutto, questo giochetto funziona sempre.
La politica dell’annuncio giornalistico ha trionfato, ma fatti non se ne sono visti, se non pochi e con grande ritardo come nel caso della RAI.

Il servizio limba sarda è sparito, annegato dentro il servizio editoria e declassato di importanza professionale. A dirigerlo hanno portato, giustamente, una laureata in matematica. I finanziamenti sono stati tagliati e non si è più sentito nulla in merito agli uffici linguistici e alla Limba Sarda Comuna. Invece di pensare alla politica linguistica come bene comune, si è pensato invece ad accontentare gli imprenditori linguistici per calmierare la piazza.

Con il gioco delle tre carte si è sottratto un milione e mezzo di euro agli uffici linguistici e alla lingua ufficiale per investirli nelle scuole. Il risultato però è stato che, in mancanza di un bando adeguato ai tempi e alle somme, massima è stata la confusione, i progetti fuori da qualsiasi controllo, a ogni scuola è toccata una miseria e alcuni “esperti” hanno potuto finalmente realizzate il sogno anarchico della loro vita senza arte né parte: insegnare il sardo con regole inventate da ognuno per il proprio paese e non secondo regole comuni. Gli esperti capaci sono stati costretti a lavorare male senza la copertura politica e comunicativa regionale. Il trionfo del folklorismo linguistico e del pressapochismo. Che i nemici del sardo apprezzano in quanto squalifica tutta l’operazione.

La Regione ha promesso poi per due anni le norme di attuazione dello Statuto che ancora non sono state attivate. I giornali hanno pubblicato titoloni, vendendo questa iniziativa come risolutiva e storica, e invece a oggi non si è fatto niente.

L’attenzione generale è passata infatti fuori dall’ambiente finanziato dalla Regione, nella società civile dove si è lavorato per Facebook in sardu, il traduttore automatico, il sintetizzatore locale, le traduzioni dei classici, i blog in sardo o bilingui a grande diffusione, iniziative, feste ultrafrequentate, conferenze indipendenti.
Si sono le fatte le cose “dal basso” come alcuni predicavano quando ritenevano che noi fossimo “in alto”. Ma questi predicatori di allora a lavorare gratis e dal basso non li abbiamo visti.

Molti sono stati costretti a seguire la corrente piuttosto che essere promotori di cambiamento linguistico e culturale, in Sardegna. Una tristezza.

Per non parlare di padri nobili e poeti e caravanserraglio del mondo culturale “etnico”. E’ giusto che chi deve possa sbarcare il lunario, ma non è giusto che la politica linguistica sia condizionata dalle necessità di chi giustamente deve andare per forza d’accordo con chi manovra il vapore. Ne è adeguato, per giustificare questa sorta di collaborazione, di rappresentare gli altri, quelli che hanno fatto tre anni di opposizione, come estremisti, talebani o gente che prova gusto a litigare sempre. E’ ora di essere maturi e di riflettere. L’opposizione al continuum politico-amministrativo anti lingua ufficiale Pigliaru-Firino-Maninchedda-Zedda era un dovere in questi anni.
E non siamo pentiti.

Anche perché sono scelte che si pagano care ogni giorno.

Il governo Pigliaru, anche con l’aiuto o il silenzio di indipendentisti o sovranisti che hanno governato o stanno ancora governando, più attenti al mondo clientelare del folklore e alle reazioni e interessi accademici (la filologia ufficiale, si sa, è contro la lingua sarda ufficiale) che non a una lingua nazionale, ha vinto dunque questa battaglia che aveva ideato e progettato. Ci hanno diviso.

La prova sta nel fatto che i soliti intellettuali che pubblicavano sempre contro la politica linguistica nei media sardi ora stanno zitti perché acconsentono. E anche i polemisti localisti anti lsc, alla prova del governo, si sono resi conto che non riescono a fare nulla. Anche quelli che avevano salutato la fine dell’ufficio regionale nel 2014, o che l’hanno anche provocata, come opportunità per la loro carriera.

Divide e impera. Almeno in questo non è un governo fallimentare. Ci sono riusciti.

Ma la sconfitta più grande pare quella del Movimento Linguistico, che ha perso un’occasione, a parte la nuova esperienza del Coordinamentu pro su Sardu Ufitziale e poche altre, di resistere a questo sistema invece di adeguarsi al sistema dei terminator della lingua.

Il Movimento linguistico manca di credibilità nella società perché sembra non combattere, ma si accontenta di essere legittimato dal potere italianista. Chi non ha fatto opposizione in questi anni ha infatti meno credibilità.

Il ritornello continuo dell’unità e della collaborazione con chi oggi governa, non si può sentire visto che la premessa sta nell’arrendersi all’esistente.

E’ possibile l’unità del mondo linguistico? Forse, ma dipende quale ne sarà la narrazione egemone da oggi in poi, dopo che in molti hanno sbagliato rovinando non solo progetti comuni, ma anche arrecando gravi danni alle persone e alle loro passioni e sogni.

Ma è poi forse vero che c’è unità di intenti tra chi vuole una lingua e chi invece due o 300? Tra chi mette sempre in discussione lo standard e chi invece lavora? Tra chi resta coerente e chi segue le fluttuazioni del mercato linguistico?

Dialogare è sempre utile, ma solo se c’è un orizzonte comune.

Intanto il governo dei professori, non abbastanza contrastato nel palazzo e nella società, ha realizzato il suo programma. Dividere il movimento, fermare e narcotizzare la politica linguistica istituzionale.

Che per fortuna è ripartita. Dal basso. Con umiltà.