(Per leggere l’intervento in sardo cliccare sulla bandierina in alto)
Ieri a Oristano si è svolta la direzione regionale del Pd.
La situazione dapprima anomala si è dimostrata essere quasi surreale.
E’ parsa da subito anomala perché la convocazione è stata inviata a firma del Garante che naturalmente ne ha deciso anche l’ordine del giorno in autonomia.
In apertura è stato chiarito che la figura del garante è diversa da quella di commissario (pur avendo sostituito il segretario nella convocazione della direzione) ed è stata proposta una commissione per il congresso. Questo è stato fatto prima di aprire un qualsiasi dibattito sulla situazione attuale, come se il congresso fosse una formalità avulsa dalla situazione politica generale.
Ho provato a iniziare un intervento e un ragionamento più ampio ma il garante-commissario ha deciso di fermare ogni intervento di tipo politico adducendo la necessità di rispettare le regole, in sostanza l’ordine dei lavori (sì, lo stesso odg della direzione convocata in mancanza di segretario e/o commissario e quindi fuori dalle nostre regole comuni).
Si è proceduto col voto di una commissione, decisa in anticipo naturalmente, senza alcuna discussione di merito e di prospettiva e votata (dopo mia richiesta di controllo dei votanti) con 27 favorevoli, 2 astenuti (non conteggiati) e 0 contrari (se non sbaglio, alla faccia delle regole, su 82 aventi diritto: 60 eletti, 10 proposti dal segretario, 12 per ruolo). Si è deciso di fatto con l’accordo di chi sino a ieri ha guidato i vari carri correntizi e ieri ha deciso di farsi paladino della nuova gestione attraverso propri rappresentanti che come contropartita entreranno di diritto nella nuova assemblea.
Un po’ come se il 4 dicembre non fosse successo nulla, come se in Sardegna il gruppo dirigente avesse compreso ciò che succedeva, come se le politiche del vecchio governo fossero state accolte con entusiasmo, come se non ci fossero problemi in Regione.
Un PD che continua a parlare tra gruppi interni (neppure coi propri iscritti e militanti) che con i cittadini e persevera col parlare di se invece che dei problemi della Sardegna.
La fase congressuale inizia senza discussione col rischio che continui sulla falsa riga di quanto è successo: un congresso di nomi e non di idee.
Siamo ancora in presenza di un gruppo dirigente -espressione dell’ultimo congresso- che ha guidato questo partito negli ultimi anni (e non solo) e che non ha saputo farsi carico dell’asprezza delle discussioni e delle differenze interne e che anzi le ha alimentate e così è stato anche negli ultimi anni.
Un gruppo dirigente miope che non vede ciò che è successo (o lo vede e cerca di autoconservarsi) e che ostacola ogni discussione e ogni tentativo di una svolta, soprattutto nei modi, che vada incontro a una visione alternativa della concezione di guida del partito e del potere che ne deriva.
*assessore comunale a Cagliari
Sempre intenti e spartirsi poltrone e prebende. Quel che resta del Pd, in Sardegna, è solo la parte più becera della vecchia democrazia cristiana. Non rimane altro che il clientelismo, ad ogni grado e livello. Rimane una classe dirigente, vecchia nel modo di pensare e di agire, che punta soltanto all’autoconservazione, facendo carte false per garantirsela. Rimane lo scarto dell’ Intellighenzia, ormai formato solo da liberi professionisti che sostengono il partito per garantirsi gli incarichi nei vari lavori. Rimangono i “supporters”, che hanno per unico obiettivo quello di raccogliere ogni briciola che cade dal tavolo dei “Big”. Sempre a mano tesa per elemosinare favori. Rimane l’incapacita di saper guardare oltre alla punta del proprio naso e la masochista voglia di stare a carponi, con la lingua intenta a frugare il colon di ciò che resta della classe dirigente italiana (dicesi necrofilia).
In sintesi, dal punto di vista dell’agire politico (e non riferito agli attori), rimane solo lo sterco di quello che tanti anni fa fu un partito riformista e di lotta per la conquista dei diritti sociali. Solo lo sterco.