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La notte in cui Donald Trump ha vinto le elezioni negli USA, i media europei hanno registrato le reazioni entusiaste di Marine Le Pen, leader del Front National dell’estrema destra francese e di Nigel Farage, del partito britannico UKIP, xenofobo e anti UE.

In cambio, una reazione passata inavvertita fuori dall’Italia, la notte che i sondaggisti si nascondevano sotto le pietre, è stata quella di Beppe Grillo.

Il multimilionario genovese si è fatto filmare davanti a uno schermo televisivo, con l’immagine di Trump di sfondo e, esultante, ha rilasciato questa dichiarazione: “È allucinante! È la deflagrazione di un’epoca. Vi sono similitudini fra questa storia americana e il Movimento 5 Stelle (M5S). Trump ha fatto un Vaffanculo Day strepitoso.”

L’indomani delle elezioni americane, casomai vi fosse ancora qualche dubbio, Grillo ha pubblicato nel suo blog uno scritto in cui celebrava la vittoria di Trump, che lodava e paragonava al M5S: “Di Trump, i grandi media hanno detto le stesse cose che dicevano di noi: che siamo sessisti, omofobi, demagoghi, populisti.”

Secondo Grillo, lui e il magnate americano sono “dei veri eroi” perché, malgrado avessero contro “i grandi media, i massoni e le banche”, hanno ottenuto i voti “dei disadattati e degli sconfitti”. Grillo è da tempo che guarda a destra, e non alla destra moderata.  Le posizioni dell’istrionico leader e proprietario del M5S sull’immigrazione sono, a volte, più radicali di quelle che sostiene la xenofoba Lega Nord.

Grillo vorrebbe chiudere le frontiere, ordinare espulsioni di massa e negare la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Sono anche degni di nota gli scritti che ha pubblicato nel suo blog, contro tutto il collettivo di immigranti, generalizzando e soffiando sul fuoco della xenofobia, ogni volta che un immigrato è stato protagonista di un fatto di cronaca nera.
Lo scorso anno è stato sul punto di impedire l’approvazione della legge che permette le unioni di persone dello stesso sesso, uno dei grandi obiettivi del governo di Matteo Renzi.

Dopo settimane di giochetti e constatato infine che anche i neofascisti di Casa Pound – ai quali Grillo ha aperto le porte del suo movimento nel 2013 – si mostravano favorevoli alla legge, ha ordinato ai parlamentari grillini di votare “secondo la loro coscienza”.

Malgrado tutto ciò, però, fuori dall’Italia, e specialmente nello Stato spagnolo, è presentato spesso come un chiassoso ma simpatico “comico antisistema”, sinistroide, e il suo movimento – che è un partito, un’impresa e un marchio registrato – viene paragonato a Podemos e al movimento degli indignati. Forse perché esiste la tendenza a giudicare ciò che si disconosce con i parametri che si hanno più a mano, la stampa dello Stato spagnolo chiede sempre ai grillini le loro somiglianze con Podemos.

Luigi Di Maio, il delfino di Grillo, si lamenta spesso con i giornalisti di questo paragone e ripete ogni volta che può: “Non abbiamo niente in comune con Podemos; loro sono di sinistra, noi non siamo né di destra né di sinistra, non abbiamo un’ideologia.” Di Maio, il prescelto da Grillo per essere candidato a primo ministro, è vicino al mondo imprenditoriale e ha lodato la politica economica del Partido Popular spagnolo.

Il M5S funziona come un’impresa governata da Grillo. Trentasette parlamentari (18 deputati e 19 senatori) hanno abbandonato il partito in disaccordo con questa maniera di fare autoritaria e con l’ideologia del proprietario. Adriano Zaccagnini, senatore eletto a Roma nelle liste del M5S, è stato tra i primi ad accorgersene. “Il M5S non è un’organizzazione democratica né trasparente. Gli elettori di sinistra che lo hanno votato si sono sbagliati”, ha detto quando l’ha abbandonata.

“Il movimento è diretto da una cupola di destra e inamovibile, con Grillo al vertice”, ha aggiunto il senatore, attualmente nel gruppo misto. Quel che è certo è che, alla base del partito, vi sono simpatizzanti di Podemos, ma anche fascisti, ecosocialisti ed ex-berlusconiani.

La tattica del M5S è stata quella di stare nel mezzo del fiume per cercare di pescare all’una e all’altra riva. Si trovano con una base trasversale la quale può essere accontentata con proclami poco concreti. È una strategia che funziona solamente se non si arriva al governo.

Ma, se alle prossime elezioni generali vincesse il M5S e avesse necessità di alleanze, con chi le farà? Uno dei pochi grillini che ha linea diretta con Grillo è Massimo Bugani, consigliere a Bologna e membro della cupola di direzione all’ombra del movimento.
Qualche settimana fa, Bugani ha svelato che, se il M5S dovesse vincere le elezioni generali, per prima cosa tenderebbe la mano alla Lega Nord e a Forza Italia, di Silvio Berlusconi.

È la prima volta che il M5S si è pronunciato sulle possibili alleanze di governo. Si tratta del lancio di un pallone sonda per conoscere le reazioni dei propri sostenitori?

*corrispondente in Roma del giornale catalano El Punt Avui