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I dati del Referendum per la riforma costituzionale, in cui il 73% dei Sardi ha detto no, ci indicano che in Sardegna possiamo cambiare la condizione politica e passare da un governo regionale italianista a uno autonomista.

Occorre muoverci in fretta però e tutti insieme, come diceva Francesco Ignazio Mannu nell’inno “Su patriotu sardu a sos feudatàrios”, altrimenti: «Si no calchi die a mossu, bos nde segade su didu, como ch’est su filu ordidu, a bois tocat a tèssere, mizi chi poi det èssere, tardu a s’arrepentimentu, cando si tenet su bentu, est pretzisu bentulare (un giorno a morsi vi taglierete il dito, ora che il filo è ordito spetta a voi tessere, altrimenti potrebbe essere, tardi il pentimento, quando si solleva il vento, è il momento di ventolare)».

Non possiamo stare fermi dopo la data storica del 4 dicembre 2016, poiché tre Sardi su quattro ci hanno fato capire che la società è in movimento. Non è trascorso molto tempo da quando due anni e mezzo fa i Sardi hanno eletto la maggioranza che sta governando la Sardegna con il 42,2% dei voti e l’anno prima i Sardi con il 29,42% al centro-sinistra contro il 23,64% al PDL hanno fatto vincere Bersani con quei pochi voti che a livello nazionale sono serviti per avere la maggioranza in Parlamento. Se oggi noi non ci rendiamo conto di questo cambiamento sociale, vuol dire che siamo fuori dalla realtà.

La gente ha votato no alla Riforma costituzionale perché ha capito che la Costituzione, e di conseguenza lo Statuto sardo, non possono essere riscritti dalla stessa classe politica che li ha disapplicati, poiché quelli che volevano modificare la Costituzione sono gli stessi che hanno contribuito a creare questo disastro sociale. In questa Riforma non c’era nessuna intenzione di costruire uno Stato regionale, dal momento che alla Sardegna spettavano 3 senatori e alla Lombardia 14, mentre la funzione del Senato deve essere quella di equilibrare il potere che le regioni popolose hanno alla camera a scapito di quelle spopolare come la nostra.

Per tanto si stavano creando per la Sardegna condizioni disastrose che, se fosse passato il si, ci avrebbero portato a ottenere solo tre rappresentanti al Senato e, per giunta, anche nominati dalle segreterie dei partiti italiani. In più, una volta ottenuto questo risultato, ci avrebbero tagliato quel poco di autonomia che ci resta nello Statuto in vigore. Per questo i Sardi hanno votato no, poiché hanno compreso, in fine, che un Governo regionale che non vuole difendere il proprio Statuto è contro gli interessi dei Sardi.

Ma in Sardegna abbiamo votato no più di qualsiasi altra regione italiana poiché qui la politica adottata da questa maggioranza ha fatto danni incalcolabili: con la cacciata della Ryanair il commercio con l’estero è diminuito in un anno del 13,9% (fonte Banca d’Italia) e l’ingresso al lavoro dei giovani dai 15 ai 35 anni è diminuito del 13,1% (fonte Banca s’Italia). Per tanto, con la vincita del si, il progetto di sottomissione dell’Isola allo Stato italiano si sarebbe compito nel migliore dei modi, portando qui le scorie nucleari e la mondezza per gli inceneritori, con una classe politica debole e suddita e una e una popolazione povera e senza lavoro.

Per questo non possiamo stare fermi quando la società in Sardegna sta correndo così forte verso l’autonomia. Ci dobbiamo dimenticare coalizioni di centro-sinistra e centro-destra, che fino a ieri erano la normalità, perché oggi è giunta l’ora di costruire l’unità del popolo sardo, mettendo insieme tutte le anime dei partiti, movimenti politici, associazioni e uomini liberi di ispirazione sardista e identitaria che hanno in testa l’idea di portare la Sardegna fuori dai comandi esterni.

Per parlare di questo abbiamo organizzato un incontro a Ozieri (Centro Culturale San Francesco – Piazza San Francesco) il giorno 17 dicembre 2016, alle ore 17,00.