Questo referendum è stato uno degli eventi politicamente più significativi della storia dell’Autonomia Sarda. Ricorda da vicino la fusione perfetta della Sardegna con gli stati stati sabaudi, che è stato l’evento politicamente più importante dell’Ottocento sardo.

A chiedere la fusione, nel novembre del 1847, senza nemmeno riunire il Parlamento erano stati i membri degli Stamenti di Cagliari e Sassari, senza nessuna delega né rappresentatività popolare e grazie ai quali, con decreto emanato da Carlo Alberto, la Sardegna rinunciò al suo Parlamento e allo stesso Regno di Sardegna.

Oggi il Carlo Alberto di turno era interpretato dal Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi e il suo braccio in Sardegna, dal comitato del SI. È come se dopo 169 anni i Sardi si fossero presi finalmente la rivincita dicendo un solenne e democratico NO alla perfetta fusione con l’Italia, chiudendo, così, la porta in faccia agli aggressori.

Il fatto paradossale è che nell’800 il golpe politico – giuridico lo avevano messo a segno i monarchici mentre nel 2016 lo ha progettato una sorta di sinistra “di stato” con una campagna milionaria fondata sulle minacce e sulle bugie, che avrebbe mischiato il ruolo dello Stato con quello del Governo e che godeva chiaramente del favore della maggior parte della stampa italiana ed estera.

Con questo imponente schieramento di forze il comitato del SI, capitanato in Sardegna dal Presidente Pigliaru, voleva convincerci che cedere la nostra sovranità allo Stato Italiano, e quindi affidare nuovamente a terzi il nostro futuro, sarebbe stato l’unico modo per ripartire e per cambiare.

La plateale maggioranza dei Sardi ha dato una solenne bocciatura a questa teoria che fa parte di una visione politica centralista e neoliberista, che viene portata avanti da una casta sempre più ristretta.

In questo caso chiedere le dimissioni del Presidente sarebbe la richiesta più naturale ma è anche la più inutile nella sua scontatezza, poichè non è automatico che con le dimissioni di Pigliaru la Sardegna riparta.

Credo invece che, oltre al doveroso superamento del Governo Pigliaru e al netto della lotta per intestarsi la vittoria come singoli o come singole organizzazioni, noi tutti abbiamo il dovere di cercare gli strumenti più utili per fare un’analisi collettiva, per affrontare seriamente l’enorme opportunità che ci dà questa vittoria e al fine di rappresentare opportunamente gli enormi spazi di domanda politica rimasti orfani di rappresentanza. Per fare questo dobbiamo di capire quali siano state in Sardegna le più vere e profonde ragioni del NO.

Possiamo dire che noi Sardi abbiamo detto NO, in primo luogo, alla rapina giuridica della nostra sovranità difendendo non tanto la Costituzione Italiana ma i diritti costituzionali della nostra Autonomia!?

Possiamo dire che i Sardi abbiano detto NO alle politiche centraliste, allineate e neoliberiste che la Giunta Pigliaru sta da tempo mettendo a segno!?

A me pare di tutta evidenza che la volontà della stragrande maggioranza dei Sardi, espressa in questo NO, vada interpretata in questa direzione. Abbiamo detto NO all’arroganza e alla presunzione con la quale questa Giunta porta avanti scelte di governo calate dall’alto e per nulla in sintonia con le nostre vicende e le nostre istanze territoriali e sociali, come dimostra la questione dell’inceneritore a Macomer, il servile silenzio di Pigliaru sullo spaventoso decreto 91, il disastro dei trasporti che vede l’Isola ostaggio dell’Italia e la leggerezza con la quale è stato affrontato il tema delle Servitù Militari in una fase storica e mondiale così critica e pericolosa.

Dovremmo anche cercare di capire a cosa possiamo dire di SI, anche perché, se dovessimo limitarci a vivere per contrastare le scelte che impongono altri, ne usciremmo sfiancati e senza più le energie produttive necessarie per progettare, in maniera condivisa, il nostro presente e il nostro futuro.

La Sardegna oggi è all’interno di una crisi profonda e i dati parlano chiaro:

“Un bambino su cinque è in condizioni di povertà relativa, uno su due non può permettersi di trascorrere una settimana di vacanza lontano da casa, uno su cinque non partecipa a gite scolastiche o ad altri eventi a pagamento organizzati dalla scuola, e ancora uno su cinque non ha spazi domestici adeguati per studiare o fare i compiti”.

La Sardegna importa il 70% del prodotto ittico e l’80% di prodotti agro alimentari.
La Sardegna importa 300 quintali al giorno di pane surgelato e questo ha portato alla chiusura di 830 panifici negli ultimi due anni.

La Sardegna oggi produce il doppio dell’energia che consuma, ma continua a pagare la bolletta circa il 30% in più rispetto alle altre Regioni italiane. Questo succede grazie all’assenza totale, per decenni, di un piano energetico studiato per l’Isola, che è diventata il far west per gli speculatori e le multinazionali straniere che gestiscono la maggior parte degli impianti eolici e fotovoltaici presenti.

Se a tutto questo aggiungiamo la pressione fiscale e il maglio di Equitalia è facile capire perché i Sardi sono poveri e depressi.

Ora, avendo ben chiaro questo quadro disastroso, possiamo chiederci e dirci: per far ripartire la Sardegna è necessario cedere sovranità o acquisirne di più?

Il risultato del referendum in merito a questo argomento mi sembra chiaro, come altrettanto chiaro appare che la ripartenza possa basarsi solo sull’acquisizione di sempre maggiore sovranità e indipendenza in questi settori che sono strategici per la nostra economia, per la nostra salute e per la nostra dignità.

È per questo che penso che sia il momento di lavorare in maniera condivisa alla costruzione di un progetto di governo con un programma volto all’acquisizione da parte della Sardegna della sovranità alimentare, energetica ed ambientale, fiscale e infine politica. In buona sostanza costruire un futuro non dipendente che poi è il guado nel quale la Giunta Pigliaru si è arenata dimostrando chiaramente di non aver saputo interpretare le pulsioni del Popolo.

L’altra domanda da farsi è: dove è finita la sinistra? Perlomeno la sinistra del Popolo, dato che è rimasta solo quella “di stato”.

Il proliferare della destra sociale e dei neofascismi è dovuto in gran parte al fatto che la sinistra ha abbandonato totalmente le battaglie sociali e popolari e lo ha fatto nel momento storico peggiore, quando la lotta di classe è sempre più evidente, l’uguaglianza sociale sempre più un sogno e la globalizzazione sta uccidendo i territori. Paradossalmente siamo in una fase in cui le istanze e le lotte del movimento No Global internazionale, che era nettamente un movimento e una lotta politica di sinistra, della sinistra internazionale, sono finite nelle mani e nelle rivendicazioni delle destre, che quella lotta avevano avversato fin dall’inizio e che oggi si lamentano degli effetti prodotti dalla globalizzazione.. Come sempre “a babbu mortu”.

Inoltre l’attuale “sinistra di stato”, che nel frattempo si è posizionata a favore degli interessi dei petrolieri e delle multinazionali lasciando morire le economie locali, favorisce lo spopolamento e la morte delle zone interne dato che nell’Isola si prevede la scomparsa di 166 comunità paesane. Un dato agghiacciante.

Per questo credo che la sfida che ci attende sia quella di trovare una sintesi politica che finalmente dia corpo e anima ad un progetto politico sul modello del Fruente Amplio in Uruguay (che ha portato al Governo Pepe Mujica) o dello Scottish National Party in Scozia. Una sintesi politica basata sulle istanze del Popolo Sardo, che sempre più si sente e agisce come popolo, e che metta insieme, in un progetto di governo indipendentista, sovranista e dichiaratamente avverso a modello global gestito dalla finanza, le parti della sinistra che sono rimaste fuori dalla discussione democratica, fuori dai parlamenti nazionali e regionali, facendo orfani nel Popolo e rendendosi orfane esse stesse del peso politico che avevano e che hanno ceduto, sopraffatte dall’inerzia indotta dai nuovi soggetti di potere finanziario che oggi più che mai appaiono chiaramente al popolo per quel che realmente sono.