Il recente soggiorno del presidente della Repubblica Popolare Cinese in Sardegna ha suscitato entusiasmo tra politici, imprenditori ed esponenti della società civile sarda. Il presidente cinese non ha nascosto il suo interesse verso la seconda isola del mediterraneo per superficie e prima per sviluppo costiero.

In particolare l’attenzione è sembrata concentrarsi sui prodotti del settore primario – alcuni dei quali, come il latte in polvere, già ampiamente diffusi nel mercato cinese – che potrebbero fare da volano per le esportazioni sarde in Cina. Un mercato, quello cinese, che per la sua vastità potrebbe costituire un importante fattore di ripresa per una piccola economia come la nostra.

Anche il settore terziario è investito dalla storica visita della delegazione cinese.

Xi Jinping ha infatti notato le bellezze naturali e paesaggistiche dell’isola, suggerendo che dopo la sua visita l’isola potrebbe ricevere un forte afflusso di turisti cinesi.

La natura della missione Cinese in Sardegna si può analizzare tuttavia anche sotto altri punti di vista, attraverso i quali si possono scorgere nuove prospettive riguardo le relazioni dell’isola con il gigante asiatico e che pongono diversi interrogativi sui diversi motivi dell’inaspettata visita.

È infatti verosimile ipotizzare che le motivazioni che hanno spinto la massima autorità cinese a recarsi in Sardegna non siano solo di natura commerciale ma anche economico-politica, strategica e geostrategica. L’isola grazie alla sua particolare posizione si presta ad essere infatti una porta d’accesso al mediterraneo occidentale.

L’importanza del controllo del mare per la Cina come Stato continentale è dimostrata dalla così detta “strategia del filo di perle”, dove il filo rappresenta una linea marittima in continuo allungamento che, partito dal mar cinese meridionale, arriva oggi, attraverso il Mar Rosso, sino al mediterraneo orientale.

Le perle rappresentano invece i porti che si trovano nei punti chiave per il consolidamento e il controllo di questa linea marittima e delle sue rotte e quindi per l’avanzata Cinese nei mari, sia in termini commerciali e di crescita economica sia in termini di influenza politica ed egemonia sui mari (secondo alcune interpretazioni questa strategia, almeno per quanto concerne l’oceano indiano, mira a circondare l’India, ponendosi di fatto in una posizione di vantaggio strategico-militare nei confronti dell’altro gigante asiatico emergente).

La politica adottata per conquistare queste posizioni strategiche è incentrata sul “soft power cinese”, un metodo di esercizio del potere non coercitivo e non aggressivo, che nel caso del filo di perle viene messo in atto attraverso relazioni internazionali basate su Partnership strategiche dove la Cina, per influenzare e persuadere gli Stati, le nazioni e le regioni rivierasche alle quali è interessata, mette sul piatto ciò che ha da offrire in abbondanza: investimenti, finanziamenti, partecipazione alle grandi opere infrastrutturali, delocalizzazione di sue imprese e l’apertura del suo grande mercato agli scambi commerciali. In cambio il gigante asiatico pone come vincolo la concessione di aree portuali, la condivisione in esclusiva di zone marittime strategiche, di territori, di risorse economiche, minerarie e di altre risorse di cui la Cina necessita.

Alla luce di queste osservazioni è ipotizzabile quindi che la visita di Xi Jinping con la sua delegazione non fosse una semplice “fermata” o “scalo tecnico” ma un modo per sondare in maniera sa quanto più possibile informale una terra con la quale la Cina ha già iniziato a stringere un solido rapporto, confermato anche dai recenti accordi tra l’isola e il colosso cinese dell’hi-tech Huawei, che apre interessanti prospettive sia nel settore terziario sia in quello secondario. Ma c’è dell’altro: la strategia cinese si basa anche sulla “diplomazia culturale”, attraverso la quale la Cina vuole far conoscere la sua lingua e la sua cultura e offrire un’immagine positiva di sé basata su pace e cooperazione.

Diplomazia culturale che viene attuata attraverso l’apertura degli “Istituti Confucio” e delle “Aule Confucio”, come quella inaugurata il 29 aprile scorso presso l’Università di Cagliari. Tutti questi elementi, che caratterizzano la strategia del filo di perle, si possono scorgere nella dinamica dei rapporti e negli accordi che l’isola sta stringendo con la Cina.

Ma la penetrazione cinese nel mediterraneo è già iniziata il 3 ottobre 2010, quando all’interno di una dinamica del tutto simile a quella che sta coinvolgendo la Sardegna, la Cina strinse una Partnership strategica con la Grecia che prevedeva tra le altre cose la concessione di parte del porto del Pireo a un’importante società cinese, rendendo di fatto lo scalo greco uno dei più importanti centri per il commercio tra Asia ed Europa.

Il Pireo è situato non a caso nel mediterraneo orientale, che si presta ad essere una testa di ponte per la penetrazione cinese nei mari occidentali.
Per avere un’idea dell’estensione del filo di perle cinese lo si può immaginare attraversare le principali rotte e i principali porti già coinvolti. Tra essi spiccano per rilevanza strategica: Singapore (nell’omonima città-Stato); Colombo (Sri Lanka); Gwadar (Pakistan); Gibuti (nell’omonima Repubblica); Suez (Egitto); Pireo (Grecia). Come si può evincere dal percorso seguito sino ad ora, il porto di Cagliari si trova nel proseguo naturale del filo di perle che da oriente si sta muovendo verso occidente anche attraverso il mediterraneo.

Nulla di strano quindi se i cinesi fossero ora interessati ad aggiungere una nuova perla a loro filo, il Porto di Cagliari, situato tra l’altro sul canale di Sardegna, un’importante porta d’accesso, controllo e transito nel mediterraneo occidentale e soprattutto ponte naturale, insieme all’isola che lo sovrasta, verso Gibilterra e l’Atlantico.

Filo che si sta già intessendo tra Sardegna e Cina, che dovrebbe portare a nuove strategie di mercato nell’isola e nel lungo periodo nuovi sviluppi nelle relazioni internazionali, sia politici sia strategici.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è se la Sardegna e i suoi governatori saranno in grado di affrontare la sfida al netto dei gravi problemi strutturali che affliggono l’isola e che rischiano di trasformare anche questa in un’opportunità mancata o in altra delusione delle aspettative simile a quelle avute in passato in circostanze simili.

I vari elementi di debolezza della Sardegna, politici, sociali, istituzionali, economici, infrastrutturali e così via, rischiano di esasperare quel rapporto di subalternità che regola le relazioni dell’isola con l’esterno e renderla un attore terzo e passivo nelle questioni internazionali che la coinvolgono.

Forse la Sardegna avrebbe bisogno, insieme agli investimenti e agli scambi commerciali, di un disegno e un’idea di sviluppo caratterizzati da pochi, fermi e semplici punti o step, come quelli che costituisco il disegno strategico e culturale della Cina dal 2006: “heping”, che sta per sviluppo scientifico; tuxing, che significa riconoscimento; e infine shexing, ossia sviluppo e quindi società prospera, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello culturale.