È finita come era normale finisse.

L’invasione delle televisioni non è bastata e ha forse prodotto un effetto contrario.

L’avere praticamente tutta la grande stampa a favore non fa prodotto il miracolo e Renzi ha, fortunatamente, perso la sua mano di poker.

La Costituzione è salva, in attesa di una riforma vera, organica, utile e condivisa in maniera ampia.

Con Renzi, intanto, escono sconfitti i tanti correi nel mondo politico, bancario, imprenditoriale e sindacale che per convinzione (poca) e convenienza (molta) avevano sposato il suo spericolato tentativo di ipotecare la guida della politica italiana per il prossimo ventennio, grazie al combinato disposto Italicum-riforma costituzionale.

Gli italiani – mai così numerosi alle urne negli ultimi anni – non gli hanno perdonato le tante promesse non mantenute, alcune forse oltre i suoi effettivi demeriti.

Perché Renzi – al di là della spacconeria nuovista e dell’insopportabile attitudine all’occupazione militare di tutti i gangli del potere – è uno che comunque ci ha provato.

Ha dato il suo stile al governo e all’Italia per un triennio ed è stato anche sfortunato a non intercettare una ripresa economica che era da molti auspicata e attesa.

Che sarà ora di lui e del governo? Difficile dirlo a caldo. Quasi sicuramente si dimetterà ma non è detto che Mattarella non provi a convincerlo a restare in carica, affidandogli un governo di scopo, incaricato di fare la finanziaria e una legge elettorale il più possibile condivisa. Probabile a quel punto che si vada a votare a giugno 2017 e non è da escludere che Renzi stesso possa reinventarsi come candidato del suo schieramento. Vedremo. Ma le alternative non sono tantissime.

Che dire, invece, del disastro registrato dal fronte del Sì in Sardegna?

Al trend nazionale si è aggiunta una sonora bocciatura per il presidente Pigliaru, che tanto improvvidamente si era schierato – assieme al suo Stato maggiore – a favore di Renzi e della riforma, negandone e ignorandone gli effetti nefasti per l’autonomia sarda.

I suoi amministrati gli hanno mandato un sonoro avviso di sfratto che ora è all’attenzione del centrosinistra sardo e dei suoi furbissimi strateghi.

Di fronte hanno un biennio che sarà caratterizzato da quella che gli analisti internazionali già chiamano la sindrome di Hollande.

L’inconsistente presidente francese in cinque anni ha divorato il consenso di cui disponeva al momento dell’elezione, tanto da essere quotato al 7,5% nei sondaggi.

Non si ricandiderà e non verrà ricandidato, mentre la sinistra francese quasi certamente verrà dunque persino esclusa dal ballottaggio.
Forse è possibile notare qualche analogia.

Potevano aspettarsi qualcosa di diverso, Pigliaru e il centrosinistra?

Il dimensionamento scolastico, i servizi nelle zone interne, la scarsa comunicazione coi sindaci, la continuità territoriale che non funziona, il pasticcio Ryanair, l’aridità dei numeri e l’astrusità di certe regole sempre preferita all’empatia della politica. E poi l’insopportabile omogeneità con tutto quel che è governativo e renziano.

In politica 2 + 2 fa sempre 4.

Chi può, lavori a un futuro diverso per la Sardegna. Quando Pigliaru avrà finito ci sarà bisogno di tutte le intelligenze, tutte le sensibilità e tutte le onestà per provare a rimettere insieme i cocci.