La posizione di molti indipendentisti mi ricorda il tamburino sardo, che arruolato nelle truppe piemontesi, in un momento in cui i Savoia facevano scempio della Sardegna e del suo popolo, rischia la vita e perde una gamba per assolvere a una missione affidata dal suo capitano, ricordato per la commozione suscitata nel suo superiore che casualmente viene a sapere dell’amputazione dell’arto.

A scuola ci fu spiegato che quel racconto era un omaggio a tutti i sardi che in quella guerra contribuirono all’unità dell’Italia, mentre in Sardegna si applicava l’editto delle chiudende e le conseguenti rivolte de “su connottu”; in quel momento, secondo i governanti della Sardegna, non si poteva ignorare la guerra per contribuire al regno.

Da quando la Sardegna ha incontrato il tricolore italiano, si parla del male minore, che casualmente, coincide sempre con gli interessi dello stato e sacrifici per l’isola, erano bravi sardi intrepidi, coraggiosi e generosi, anche quelli della brigata sassari morti nella prima guerra mondiale.

Niente a che vedere con i morti di Bugerru di pochi anni prima, fatti per decenni occultati e ancora volentieri taciuti, fatti causati dalla fame e dallo sfruttamento dei sardi nelle miniere, male necessario per sollevare lo stato. Voglio arrivare alla sostanza senza tanti altri esempi, perché sono talmente tanti che mi porterebbero fuori contesto.

Un altro però mi sento di farlo, due personaggi, della storia recente, Simon Mossa e Angelo Caria, erano entrambi contrari all’industria portata dall’Italia in Sardegna, volevano un’altra economia, basata sulla vocazione del territorio e del popolo sardo.

Ma, i partiti italiani presero quello che lo stato italiano gli concedeva alle condizioni imposte. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ancora pochi anni fa, chi parlava di popolo sardo era un retrogrado se non tacciato di razzismo. Però la rettorica sull’italianità, gli antichi romani e bla bla bla, quella, era orgoglio nazionale. Anni luce più avanti le parole di Angelo Caria, quando afferma che chiunque voglia condividere il destino del popolo sardo è sardo.

Ora ci risiamo, mi si chiede di confermare una costituzione che sostiene, essere la Sardegna indivisibile dall’Italia. Mi si dice che si perderebbe in seguito lo statuto speciale, ma, i comitati per il no, hanno per primi mosso la critica che un difetto di questa riforma è la non abolizione delle regioni autonome.

Se costoro vincono, dicono che in sei mesi faranno le riforme. Cosa ci si deve aspettare, ci si dovrebbe fidare di coloro che nell’ultima seduta della giunta Melis affondarono la legge sulla lingua sarda, che era nei patti di legislatura?

Non interverrò sulla costituzione italiana. Non sono italiano e non farò parte delle truppe schierate in difesa di una o l’altra posizione. D’altronde, nessuno da una parte o l’altra si è nemmeno degnato di spendere una parola sulla specificità sarda. Nessuno ha detto dopo il referendum per la Sardegna prevediamo qualcosa in costituzione. Non so se mi avrebbe convinto, ma almeno avrei apprezzato il tentativo di non umiliare chi a votare ci va.

In realtà, questo referendum non è altro che una lotta di potere fra schieramenti che perseguono lo stesso percorso riformatore, con più o meno prepotenza, da circa vent’anni.

Il dato certo è uno, non c’è gruppo di potere italiano che non ha usato la Sardegna per il proprio tornaconto, in questa circostanza accadrà ancora e chi vincerà renderà omaggio ai sardi che hanno contribuito a salvare l’Italia.

La situazione mi riporta i vespri sardi, quando G. M. Angioy, si batteva perché la Sardegna diventasse uno stato autonomo con cui il Piemonte doveva rapportarsi con rispetto e alla pari e i moderati Pitzolo e Paliaccio giuravano fedeltà ai Savoia ostacolando gli innovatori, forse per paura di non essere capaci di assumere la responsabilità di gestirsi da sé. Sembra che da allora i “filosavoia” in Sardegna non siano mai estinti, sono diventati “filoitaliani”, alcuni si dicono anche indipendentisti, dando però precedenza alle ideologie che bloccano l’unità dei sardi.

Sarebbe stato molto proficuo se chi si impegna in una politica a favore del riconoscimento della specificità culturale, economica, politica, della Sardegna, avesse approfittato dell’occasione, per proporsi con voce unisona, reclamando nella costituzione italiana, almeno il diritto della Nazione Sarda e confrontarsi da pari a pari con lo stato italiano.

Invece finirà come col tamburino sardo, quando il capitano casualmente si accorgerà che il ragazzino ha contribuito a salvare le truppe a costo della mutilazione della gamba, lo ringrazierà calorosamente per il suo sacrificio in favore della patria italiana. Nessuno però sa che fine ha fatto il tamburino senza una gamba, una volta tornato nella miseria della Sardegna italiana.