(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

In questi giorni si è scritto molto di identità, passato, presente e futuro, in questo luogo di d’incontro fisico, pur in un mondo virtuale come quello di internet.

E allora mi piace proporre un mio pensiero recente, sul tema.

La Sardegna è un continente, con tante piccole patrie, ognuna dotata di propria identità.

Non so se questa situazione sia figlia della tradizione, dell’isolamento e se verrà repentinamente modificata dalla globalizzazione e dall’incentivazione allo spopolamento delle zone interne e rurali che mi sembra arrivare dalla politica.

So che noi ragazzi nati nei primi anni ’70 siamo stati forse gli ultimi a conoscere appieno, nella fanciullezza, quel vecchio mondo e la sua organizzazione.

Oggi, benché cambiato dalla modernità globalizzata, il continente delle piccole patrie sopravvive grazie alla enorme forza che l’identità sprigiona, quasi inconsapevolmente.

Mi chiedo, mentre leggo un libro respirando l’eco di una lingua parlata che non è esattamente la mia, in che mondo vivranno i figli di mia figlia, tra cento anni.

Mi interrogo sul futuro di questo continente e delle sue piccole patrie, senza riuscire a darmi una risposta compiuta, attendibile e appagante.

Non sarà un mondo necessariamente peggiore, sarà semplicemente diverso, come è sempre stato di cento anni in cento anni.

Ma che nostalgia della mia piccola patria degli anni ’70 e ’80, dei suoi personaggi, dei suoi riti, della sua capacità di bastare a se stessa.

In Sardegna, nel dibattito pubblico, assieme alla storica (sempre di poco più di un secolo si tratta) contrapposizione destra/sinistra, sta avanzando una competizione tra chi vorrebbe conservare, nella modernità, una Sardegna delle piccole patrie e chi ha invece una visione più spinta della modernità, più legata alla competizione economica e al potere dei numeri che alla salvaguardia del tradizionale modello di organizzazione sociale.

Sarà interessante indagare questa competizione.