Riceviamo e pubblichiamo.

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Chappaqua, Stato di New York.

Hillary e Bill si sono da qualche giorno ritirati nella loro comoda magione, acquistata nel 1999, alla fine del secondo mandato presidenziale di Clinton.

– Hillary, ma tu hai davvero capito cos’è successo?

– È successo che abbiamo perso, Bill. E non riesco ancora a capire come sia stato possibile.

– Ho qua sottomano un’analisi di un ricercatore del nostro staff. Un italiano che ha uno strano cognome. Si chiama Lussorio Furrighesu.

– What?

– Vabbè, non è importante. Ma al termine della sua lunga analisi, fa anche la diagnosi. Una cosa che non avevo mai sentito prima.

– Un altro furbo. Non bastavano la Cnn, la Fox, il Wall street journal e il New York Times?

– Dice che tu, io e tutto il nostro staff abbiamo dimostrato di soffrire della sindrome dei “teachers-professors”.

– What? (Corrisponde al sardo “Ma ite istocada est?” N.d.r.)

– La sindrome dei “teachers-professors”. Mi scrive, prima di spiegarti cos’è, di farti alcune domande.

– E fai. In fretta, però.

– Tu lo sai quanto costa un litro di latte?

– Certo, so anche quanto ne abbiamo bevuto in America nel 2015, quanto ne abbiamo esportato e quanto importato. So anche quanto è il valore aggiunto delle aziende di grande distribuzione e pure come aiutare le aziende a guadagnare ancora di più.

– Bravissima, sei la migliore. Ma sai anche quanto il latte viene pagato ai produttori? E quali sono le difficoltà che questi incontrano? Sai che in molti hanno chiuso le loro aziende, specie nel mid west?

– Ovvio che so quanto viene pagato. Hanno difficoltà, è vero. Ma è il mercato bellezza, non penseranno che possa essere il governo a dargli le risposte, vero?

– E chi gliele deve dare?

– Loro stessi. È il mercato, bellezza.

– E poi parla delle fabbriche, della delocalizzazione, degli operai.

– Senti, sono processi normali. Qua c’è gente che vuole il posto fisso assicurato. C’e gente che di mestiere fa il disoccupato.

– E dunque che risposte gli avresti dato.

– Sono processi irreversibili.

– Poi scrive che nell’Iowa, nel Wisconsin e in Ohio ci sono problemi legati allo spopolamento, alla desertificazione, all’emigrazione. Cala la popolazione attiva e calano i servizi, molte scuole chiudono.

– Sono processi irreversibili.

– Pure questi?

– Oh, yes. Non si può pretendere, se non ci sono i numeri, di tenere aperti i servizi. Bisogna prenderne atto, è la storia. Del resto, tu dall’Arkansas te ne sei andato a New York, no? Perché uno dovrebbe continuare a vivere nell’Iowa?

– Dice che gli amministratori locali hanno difficoltà a far quadrare i conti, a dare risposte ai cittadini.

– Ancora? Abbiamo superato il patto di stabilità con il pareggio di bilancio, non gli basta?

– Dice che non sanno neppure cosa sia. Ma che in ogni caso i termini non cambiano, hanno i soldi in cassa ma non li possono spendere.

– Beh, intanto il governo gli ha dato i soldi per la videosorveglianza,

– Poi dice dei trasporti interni e perfino di quelli aerei. Tutto ok a Washington, New York, Boston, Los Angeles e San Francisco. Ma in Alaska o nel Maine pare sia un disastro.

– Questa cosa l’ho già sentita. Ma senti, ci sono procedure federali da rispettare, non possono pretendere di avere aerei ogni ora, sperduti come sono. Se vogliono viaggiare come gli pare che si prendano un aerotaxi.

– Oh Hillary, poi scrive che siamo percepiti come gente che non si oppone mai a chi ha il potere: banchieri, lobby, grandi aziende, mercati, società di rating. Parliamo con loro e proviamo quasi fastidio per il popolo.

– Pesante, oh. Ma secondo te chi è che fa andare avanti l’economia? I disoccupati dell’Iowa, i pescatori della Florida, i minatori del Colorado, gli allevatori del Texas o i banchieri di Manhattan?

– E allora perché abbiamo perso?

– Io non lo so.

– Ecco, scrive proprio che questa risposta significa che siamo vittime della sindrome dei “teachers/professors”.