Questo intervento è stato pubblicato come commento sul nostro blog.
Lo riproponiamo come post, perché è capace di sollevare una questione che merita di essere dibattuta
________________________
Una nazione e una regione che non pianifica non ha modello economico e vive alla giornata o meglio dire al canto delle mosche che da ancora più senso al dramma in cui viviamo.
Col CAF è iniziata l’opera di demolizione dell’industria italiana, proseguita poi alla grande con tutti i governi di ogni colore; durante la gestione di certo De Michelis, l’Italia è uscita dal settore farmaceutico, da quello metallurgico, da quello elettronico (ricordo che il magnetofono è invenzione italiana, per no dire dei pc Olivetti), abbiamo dato in cambio di pochi spiccioli le nostre industrie alimentari, ormai italiane solo per la pubblicità, visto che sono solo marchi e nient’altro, fortemente ridimensionato le industrie siderurgiche e chimiche nonostante avessimo il brevetto del polipropilene di Natta e poi….. ancora tutto il resto che ora mi sfugge.
Si è beatificata con la Milano da bere l’alta moda simbolo dell’immagine nel mondo del nostro paese e poi vai a guardare i grandi marchi producono tutti in paesi orientali e quelli che non sono grandi marchi in Bangladesh, sfruttando manodopera minorile presa per fame con impianti obsoleti ce forse nemmeno qualche serio rottamaio avrebbe preso.
Il tutto mentre l’agricoltura di cui tutti si riempiono, è alla fame più completa con strani crolli di prezzi che almeno nel caso del latte di pecora sardo avvengono sempre quando aumenta il costo del petrolio e quello d’energia, tanto che personalmente sospetto uno scarico sul latte della disefficienza energetica nella produzione di formaggio.
Questa è l’Italia che ci ritroviamo con una classe dirigente che da 30 anni sta portando il paese verso un modello simile a quello della Grecia che tutte è meno, o meglio è mai stato, che un volano per una distribuzione di reddito di alto livello.
Salve,
con tutto il rispetto per l’autore, questo post è infarcito di tutto quello che crea danni in un sistema economico: dalla pianificazione di memoria sovietica (sappiamo tutti gli effetti), all’intervento dello Stato (anche solo in una logica difensiva!) in questo o quel mercato giudicato dal politicotto di turno strategico! Fino ad arrivare a condannare la produzione nel far east, quasi auspicando un modello di dazi all’ingresso!
E’ il mercato che decide chi deve stare in piedi! L’intervento pubblico crea quasi sempre più effetti negativi che positivi. Si hanno continue dimostrazioni e prove: si faccia un giro in Bolivia se qualcuno ha perso il ricordo delle economie pianificate. Direttore, si circondi di buoni consulenti in materia economica! Abbiamo illustri corregionali!
Mi sfugge dove si auspichi l’intetvento dello stato sul privato in questo post. Fare politica economica ed avere dei piani al riguardo invece é altamente auspucabile da parte dei politici. Diciamo che sarebbe parte del loro mandato. E questa mancanza mi pare si critichi.
Salve Cristina,
Politici che si occupano di politica economica?
Mi riporti per piacere un esempio, di misura che un politico potrebbe oppure dovrebbe adottare.
Il settore che dovrebbe tutelare o migliorare, come, con quali risorse e con quali effetti sperati. Così è possibile capire di cosa stiamo parlando. Non ho mai sentito parlare di un’impresa reale e seria (e non agganciata ai soldi pubblici sotto forma di incentivi, commesse pubbliche o simili) che è nata da una manovra del governo statate o regionale che sia.
La Ducato deve la sua impresa a qualche politicotto che mi sfugge? La famiglia Argiolas ha creato il suo business a qualche politico regionale a me ignoto?
Se invece parliamo di Alcoa di a Portoscuso, di ENI a Porto Torres, di SARAS a Sarroch e purtroppo dei tanti esempi di industria di stato, allora possiamo agevolmente trovare i nomi dei politici che hanno promosso queste iniziative prendendosi i voti delle persone che ci lavorano e delle loro famiglie, i nomi dei sindacati che si sono presi le ritenute, mentre non abbiamo i nomi dei contribuenti di oggi e di domani che pagheranno il conto di questi lungimiranti investimenti di soldi pubblici.
Saluti
Non l’ho voluto leggere ieri quando è uscito perché, inconsciamente, ho pensato che non meritasse.
Ma un amico mi costringe ed allora… l’ho letto.
Confermo lo stato d’animo.
Se devo dire, non è un post da trasformare in articolo. Non dice che il -niente-.
Questo Signore non ha ancora ben capito in quale tipo di “modello economico” siamo ingabbiati. Presentaglieli “I Diavoli” (LaStampa.it) che così, forse, si libera della fitta nebbia che gli avvolge il cervello (o, almeno…inizia).
E se deve prendere come modello la Grecia, lo faccia ma pensandolo ed immaginandolo, se può, come quel modello che a breve verrà applicato in Italia, con buona pace delle stronzate che quotidianamente si leggono.
Ma basta una firma, quella dell’identità, ed il gioco è fatto!
Penso che programmare sia esattamente compito dei politici impegnati nelle Istituzioni. Si dovrebbe partire dalla.vocazione di un territorio, dalle materie prime che possiede, dalle infrastrutture. Per esempio, la nostra materia prima è la terra : quindi i settori da sviluppare dovrebbero essere quelli agro-pastorale e agroindustriale.
In Sardegna abbiamo avuto l”esperienza delle cattedrali nel deserto; adesso stiamo facendo ll’sperienza del land- grabbing, o accaparramento delle terre, per produrre energia a scapito dell’agricoltura.
Si moltiplicano le richieste dei privati per impiantare centrali solari termodinamiche, anche se la Sardegna esporta il 40% dell’energia che produce e anche se ci sono leggi precise che legano la produzione di energia in terreni coltivati alle necessità delle singole aziende. Invece si minacciano espropri o si progetta un gasdotto dall’isola alla penisola, con depositi costieri e mini-rigassificatori, come se la Sardegna avesse deciso di diventare una piattaforma energetica per le altre regioni. Non risulta ci siano azioni significative per ridurre le emissioni di CO2 o per arrivare a coprire con fonti rinnovabili il 17,8% dei consumi energetici entro il 2020, pena sanzioni pecuniarie (Stefano Deliperi, il manifesto sardo, aprile 2016).
Questo è solo un esempio.