Si può essere europeisti ma, al tempo stesso, euroscettici?
L’idea di una grande Europa dei popoli, senza nazionalismi ma con una forte identità territoriale, mi ha sempre affascinato.
Eppure non riesco a nascondere il fastidio nei confronti di un’Unione europea fredda e burocratica, mal accettata dai cittadini.
Un’istituzione che in maniera quasi compiaciuta ostenta il suo cinismo e una certa indifferenza nei confronti dei drammi imposti dalla redistribuzione, verso il basso, dei disastri finanziari nei quali sono incappati nell’ultimo ventennio i governi e i principali istituti di credito continentali.
L’Europa ce lo chiede (qualsiasi cosa) ma non ce lo spiega.
L’Europa non si occupa di come vengono spesi (o non spesi) i soldi ma si limita a stabilire il quanto.
L’Europa non ha un volto, non ha un cuore, non deve rendere conto agli elettori.

Perché si manifesta come un’entità più economica che politica ed è per questo assente sullo scacchiere delle grandi manovre internazionali. I Paesi che ne sono i maggiori azionisti si guardano bene dal cedere un po’ delle proprie rendite di posizione e preferiscono farsi ognuno gli affari propri, tessendo e rompendo alleanze a Occidente come a Oriente.

Vogliamo parlare delle modalità con le quali è stata introdotta la moneta unica e delle alchimie che negli ultimi 15 anni ne hanno preservato la presenza sui mercati, passando sopra a migliaia di progetti di vita con la stessa sensibilità con la quale un pachiderma attraversa un nido di formiche?
La moneta unica è percepita dalla maggior parte dei cittadini come una prigione e un nemico, in barba alle promesse.

È difesa, forse a ragione, dagli economisti e dalle imprese come un fattore di stabilità e come un baluardo rispetto alle speculazioni dei mercati internazionali. Ma se l’Euro e l’Europa sono buoni, perché chi li amministra non si sforza di rendere evidenti i benefici che vengono propagandati?
Questo è un nodo di non poco conto, difficilmente districabile.

Servirebbe la politica, quella alta, quella che Spinelli, De Gasperi, Adenauer, Willy Brandt e gli altri padri dell’Unione ponevano alla base del loro agire. Senza uno sforzo in questo senso l’Euro e l’Europa sono destinati, alla lunga, a fallire. Perché – e la Storia lo insegna – niente e nessuno può pensare di resistere mettendosi contro i Popoli.
Certo, la Sardegna non deve arrendersi. Partendo dagli svantaggi dovuti alla discontinuità territoriale deve trovare la forza di portare sui tavoli europei le questioni trasporti, energia, turismo, sostenibilità e sviluppo di territori fortemente caratterizzati dalla condizione geografica.
Pur essendo euroscettici (riguardo le attuali istituzioni continentali) non bisogna stancarsi di guardare con speranza all’idea dell’Europa dei popoli e delle madri-regioni. L’isolamento non è certo la ricetta per futuro della Sardegna.