(Pro lèghere s’artìculu in sardu pùnghere subra sa bandera in artu)

Negli scorsi mesi, nel corso di un vivace scambio di idee con l’ex presidente della Regione Pietrino Soddu, ho avuto modo di manifestare le mie perplessità su alcuni effetti delle scelte della classe politica che ha avuto l’innegabile merito di traghettare la nostra Isola dall’arretratezza – nella quale era vissuta fino agli anni ’50 – alla modernità e a non secondarie conquiste civili.

Alla fine abbiamo concordato sul fatto che sarebbe ingeneroso sentenziare ex post che la fallimentare industrializzazione della Sardegna e il boicottaggio – di fatto – delle tante buone idee contenute nel Secondo Piano a proposito del comparto agricolo equivalga a una bocciatura di quella classe politica.

Anzi, ogni giorno che passa, facendo il confronto con quanto accade oggi ed è accaduto in tempi recenti, la rivalutazione del passato diventa sempre più attuale.

Ma magari è solo un processo umano.

Tornando alla Rinascita e al presente e futuro di questa tormentata Regione, non ci si può sottrarre dall’andare oltre a una semplicistica promozione o bocciatura dei suoi effetti.

Qual è stato, a prescindere da come la si pensi, il vero problema di quella stagione? Come ha sostenuto anche Soddu, anzitutto il fatto che la prima modernizzazione della Sardegna sia arrivata quando quello stesso processo, da altre parti e con quei mezzi, si stava esaurendo.

Siamo arrivati al nostro up quando gli altri stavano per abbandonare non solo il down ma anche l’intera materia. Quella cessazione e quell’epilogo ci hanno costretti a entrare nel processo di cambiamento epocale della nostra economia, della nostra società, del nostro modo di essere, quando le ricette che inseguivamo erano ormai obsolete.

Per farla semplice, abbiamo acquistato qualcosa che stava uscendo dalla produzione. Gli errori commessi nella scelta di quel modello di sviluppo possono essere giudicati, con speranza di azzeccarci, come commessi in buona fede ma figli di una valutazione d’orizzonte errata.

Come sbagliata si è rivelata e si sta rivelando la mancata presa d’atto del fatto che nel mondo la seconda modernizzazione è in atto da almeno trent’anni.

Gli altri cambiano, si rinnovano, si liberano dei lacci burocratici che li imprigionano e abbandonano i vecchi strumenti mentre noi siamo ancora a caccia di rattoppi, di riedizioni, di aggiustamenti rispetto a un qualcosa che abbiamo fatto in ritardo e, spesso, male. Senza un orizzonte d’insieme, possibile e percorribile, siamo morti.

Senza l’acquisizione di un senso generale non potremo mai avere una politica organica, perché per governare la società e per guidarla occorre un senso complessivo globale.

Oggi, certo, fare politica è più difficile rispetto a cinquant’anni fa: non ci sono più le ideologie, stanno scomparendo i partiti, mancano i valori e i blocchi sociali si sono annacquati. Non ci sono istituzioni riconosciute e mancano le risorse per far camminare persino i progetti più virtuosi.

Se ci aggiungiamo la ragnatela di piccole cose che non vanno bene capiamo come ci siamo ridotti a inseguire una quotidianità caratterizzata da piccole e grandi disonestà, piccole e grandi clientele, piccoli e grandi frustrati che abbaiano alla luna.
Serve uno scatto di reni del sistema, magari ripartendo anche da una nuova idea di Rinascita.

Moderna, onesta, innovativa, capace di tracciare un terreno nuovo.