In Sardegna c’è sostanzialmente un solo partito di massa organizzato, capillare, solido, erede forse un po’ pallido di quel che furono i Partiti che hanno fatto la storia repubblicana.
In tanti quelle formazioni le ricordano – in negativo – per le loro degenerazioni, scordando quel che di buono hanno rappresentato, incarnando il dettato dell’articolo 49 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Nei Partiti sono cresciute le classi dirigenti che hanno guidato la riscossa del Paese: sapevano essere palestra, scuola, luogo di confronto e scontro.
Non erano tutte rose e fiori, ma la selezione era assicurata da una serie di passaggi democratici, spesso caratterizzati da furbizie e alleanze contingenti, tipiche della formazione del consenso.
Ma, insomma, i Partiti erano una cosa seria e non scordavano mai di salvaguardare, assieme alla sostanza, anche le apparenze. Al centro, almeno formalmente, c’erano la politica, la cultura di governo e il miglioramento della vita dei cittadini. Non solo quella dei dirigenti del partito stesso. Perché quando i partiti sono deboli, a prevalere sono altre logiche e altri centri decisionali e di potere.
La Sardegna, dicevamo.
Oggi il Pd è innegabilmente l’ultimo superstite – almeno nominalmente – di quella tradizione.
Lo è anzitutto secondo i numeri: governa la Regione, ha la maggioranza degli assessori e dei consiglieri regionali. Col sistema commissariale controlla le ex Province, e con quello delle nomine gestisce militarmente il sistema sanitario. Può contare sulla stragrande maggioranza dei sindaci, degli assessori e dei consiglieri comunali.
Mai la Sardegna, se non ai tempi più floridi della Dc, era stata governata così capillarmente da un solo partito.
Eppure il Pd sardo vive una crisi così profonda da essere definito da uno dei suoi fondatori in stato “precomatoso”.
Non ha potuto o saputo esprimere un candidato a presidente scelto al suo interno.
Da anni non può contare su una governance organica e condivisa.
Da anni è frazionato in correnti (ma qualcuno le chiama “fazioni” e i più cattivi persino “bande”) che periodicamente si alleano su singole vicende prima di tornare a dividersi e a immobilizzarsi a vicenda.
L’attuale esiziale situazione di stallo (da mesi non c’è un segretario, ma prima ancora chi formalmente reggeva la segreteria – Renato Soru – era sostanzialmente ostaggio di una maggioranza che non governava) denuncia una crisi che è prima di valori e di vocazione che politica in senso stretto.
Per alcuni ex Ds la crisi origina anzitutto dal fatto che “il partito si è da tempo trasformato, sia a livello nazionale che locale, in un comitato d’affari”.
Una affermazione assieme pesante e inquietante, forse persino ingenerosa.
Secondo i manuali questo è il rischio che si corre quando si diventa interlocutori unici della società e del mondo delle imprese.
Ci si distrae a governare – e a spartirsi – il sistema degli aeroporti, la sanità, le camere di commercio, i consorzi, le rappresentanze negli organismi bancari e nelle associazioni di categoria.
Ci si distrae a pensare agli affari, ai rapporti, agli equilibri, alle alleanze trasversali, agli incarichi professionali e ai provvedimenti legislativi ad hoc, ritagliati su misura dell’interlocutore di turno.
E, così facendo, si perde di vista la quotidianità del governo, il confronto con i problemi dei cittadini e con il sistema della burocrazia, che deve mandare avanti i provvedimenti.
Questa degenerazione spesso non viene pianificata ma si stratifica giorno per giorno, in maniera così inconsapevole che i protagonisti si autoconvincono che sia cosa buona e giusta e che non ci sia niente di male.
Che il mondo vada così e così debba continuare ad andare.
In questa situazione come può stupire che passi sotto silenzio la notizia che il Pd di Roma ha nominato un Garante (lo chiamano così per non spaventare nessuno, ma ha le funzioni e i poteri di un vero commissario) per regolare il traffico all’interno del Pd sardo e per gestire “il tesseramento e i rapporti politico-istituzionali fino al prossimo congresso”?
Non è una bella notizia. Nel passato il commissario rappresentava uno strumento del centralismo monarchico: per il suo tramite il monarca poteva controllare l’operato dei funzionari proprietari dell’ufficio ricoperto.
Un altro segnale del fatto che l’attuale sistema non ce la fa ad autogovernarsi e autodeterminarsi.
Anzitutto perché gli manca un’idea di Sardegna e non è legato dal minimo comune denominatore che sarebbe necessario: pensare – come è dovere di un partito pigliatutto – e governare una missione per l’Isola, da pianificare in maniera diffusa e da portare avanti con un patto generazionale imperniato su una integrazione fra centro e periferia.
Invece anche da questo punto di vista siamo all’anno zero: pensate che sono tutti così distratti da non essersi accorti che c’è un manipolo di notabili che usurpa persino i nomi. Seguendo la cronaca regionale, infatti, capita di incrociare ancora – nel 2016 – l’attribuzione di correnti maggioritarie a figure che, immaginiamo, la politica attiva e le attività professionali le hanno abbandonate da un pezzo.
Perché non pare logicamente possibile che apicali figure del settore bancario – meritoriamente impegnate anche su scenari extrasardi – siano ancora titolari di strutturate golden share, o di forze di interdizione e/o indirizzo, all’interno di partiti-Stato.
Il primo compito del garante-commissario, immaginiamo, sarà quello di richiamare tutti gli usurpatori a chiamare le correnti secondo il loro effettivo nome, scacciando finalmente il fantasma di imbarazzanti commistioni.
Sarebbe un passo non da poco, anche se il cammino del Pd sardo – alla prova di un governo regionale fin qui deludente, scialbo e succube di Roma – resta comunque sempre più in salita.
Ottima analisi, del resto sei un fine osservatore della società sarda, politica e non. Una cosa mi permetto di aggiungere: i “pigliatutto” – resisto per decenza all’idea di usare un altro aggettivo – in realtà fanno il bello e il cattivo tempo contando, grosso modo, sul beneplacito di circa il ventidue per cento, dei sardi che li hanno votati alle ultime elezioni. Al netto di astensioni, voti contrari e dati ad altri partiti della coalizione. In pratica, comandano – e fanno carne da porco, ma questo se ti piace sarà un tema da trattare altrove insieme a indipendenza prima possibile – e soprattutto eseguono impeccabilmente gli ordini che arrivano dal palazzo romano di turno. Ieri erano gli altri con palazzo Grazioli, oggi sono questi col Nazareno. E la colpa è di quel sardo su cinque che si è fidato di questi … seriali, chi vuole divertirsi metta un altro aggettivo al posto dei puntini.
Il ventidue per cento.
Per mie carenze oggettive, in italianoooo… Altrimenti non capisco.
Grazie!
Cosa non ha capito, Vittorio? 🙂
Scusi, ho visto solo ora il logo dei quattro mori su in alto. Ho capito solo ora che per la versione in italiano devo selezionare la bandiera tricolore.
Ottima analisi. Le chiederei soltanto, se le va, di entrare più nello specifico sulla questione banche politica.
Il PD sardo, non ha certo un’idea per la Sardegna del futuro, come giustamente lei fa notare. Ma ciò che ancora di più preoccupa è l’assoluta assenza di una nuova classe dirigente, considerato il fallimento del “pacchetto di universitari”, poco utili come tecnici ed assolutamente privi di visione politica. Infatti si sono tutti ben saldati al correntone renziano, che pur sciorinando ricette improponibili, quanto evanescenti, alla luce dei risultati dell’economia e dell’occupazione, resta l’unica idea alla quale restano aggrappati gli italiani.
Credo che solo ripercorrendo un’idea identitaria, la Sardegna, possa trovare le risorse, culturali ed economiche, per venire fuori dalla crisi. Certo non da soli, ma con le regioni del Sud costruire un progetto di stato federale, in controtendenza con la riforma attuale, di centralizzazione estrema, che lascerà il Sud in braghe di tela. Ma non sarà dal PD sardo che potrà arrivare un vento di novità e di coraggio. Si tratta, com’è del tutto evidente, di una balena spiaggiata ormai entrata in fase di agonia.
Condivido l’analisi di Antony Muroni. Certo la definizione di “stato precomatoso” del PD da parte di uno dei fondatori mi è parsa vagamente ottimistica. Il PD è in coma da anni. Non servono i numeri elettorali per dichiarare vivo questo partito, dovrebbero essere gli iscritti, i militanti, i suoi rappresentanti nelle istituzioni. Dovrebbero essere i valori, le proposte politiche frutto di un’attenta osservazione dei bisogni delle persone e dei territori che dicono di rappresentare, a fare di questo partito un Partito.
Il momento elettorale è diventato praticamente l’unico spazio in cui il pur volenteroso militante crede di poter esprimere un suo pensiero. Giusto questo ci hanno lasciato, un sì o un no. Sulla scheda non possiamo scrivere “Ti voto per disperazione o perché non riesco a rinunciare all’idea di appartenenza a qualcosa che non è più, ma ci spero oltre ogni ragione”. No, non ci concedono neanche lo spazio di un messaggio in una bottiglia.
La riforma costituzionale persegue pervicacemente questa strada già tracciata e sarà la pietra tombale (se dovesse vincere il sì al referendum del 4 dicembre) su qualsiasi possibilità di ingranare la retromarcia verso la riconquista di un rapporto sano e democratico tra i cittadini (che vogliono partecipare) e le istituzioni.
Adesso si usa spesso far coincidere la figura del segretario con quella di Presidente della Regione o, peggio, del Consiglio. Che possibilità c’è che il Partito di Renzi obietti qualcosa al Governo Renzi? E una Regione che ha come Presidente una pur onesta persona ma che della Sardegna ha la stessa idea di chi ci governa (male e con ostilità) da Roma, che futuro ha?
La vicenda dell’inceneritore di Tossilo (http://nonbruciamocimacomer.blogspot.it/2016/10/i-poteri-forti-contro-i-cittadini-e-le.html), con la Giunta regionale che si schiera contro i suoi stessi concittadini per soddisfare le richieste di un’autorità “sovrana”, è solo l’ultimo degli esempi di un modo di considerare la nostra “Autonomia” poco più che carta straccia.
Credo che abbiamo poche altre occasioni per cambiare le cose. La prima (un segnale) sarà il 4 dicembre. Il più forte, alle prossime regionali, con tutti quelli che mettono al primo posto la Sardegna e il suo futuro. Io ci credo ancora.
Spietata quanto corretta analisi della condizione in cui versa la politica Sarda, ormai relegata all’intervento di pochissimi. Il PD è solo un comodo accorpamento di potere delegato ai soliti capi fazione. E’ crollato un modo. Non esistono più le sezioni di partito disseminate nei vari paesi e nei diversi rioni delle città. Non esiste dialogo ne laboratorio di idee. Il governo del PD è saldamente in mano a chi è riuscito ad impadronirsene. Diversi, ma non tanti, sono i proprietari di penose “fette” che si accordano su innumerevoli questioni: si dividono, si contrappongono, tornano insieme, si scontrano ancora, quasi come un infinito gioco delle tre carte. Attendo un crollo verticale, questa condizione non può durare in eterno, si notano chiari segnali di una imminente implosione. Ma la domanda che si pone impellente è: chi riuscirà a cogliere e a capitalizzare questo momento?
Finalmente ,Anthony Muroni,trovo il modo per esprimere il mio disappunto,per non dire il mio profondo dispiacere, per il ricorso da parte dei nostri ad un “garante esterno”.Voglio dire a tutto il PD sardo(????) :” Ma si no sezis in gradu de bos gubernare bois, comente podides pessare de essere in gradu de gubernare a atere.?” La vostra decisione mi ha veramente ferito e tolto ogni residuo di fiducia nei vostri confronti.
il pd non può aiutare la Sardegna! prendiamone atto e costruiamo una coalizione identitaria tutta sarda ed autodeterminiamoci. il pd ha solo bisogno di un decennio all’opposizione insieme al poco che resta della vecchia destra.
Mi pare tuttavia che la crisi del PD sia anche l’effetto della piú generale crisi che investe la politica in generale e ad ogni livello non solo in Sardegna o in Italia ma in tutto il mondo occidentale Non possiamo dimenticare neanche l’impegno profuso in passato proprio dai cugini in primo grado del PD nel cercare di distruggere gli avversari politici con ogni mezzo, riuscendoci.Come dire: chi di spada ferisce….
Il problema piú importante per noi sardi é quello di riuscire a riunirci intorno a poche ma fondamentali cose e po di individuare una strategia comune di lunga durata. Ma ci riusciremo mai.?