I ragazzi e le ragazze, i nostri figli e le nostre figlie, NON sono un problema ma una gioia, una risorsa, il più grande dono che Dio ci ha fatto.

I ragazzi e le ragazze, i nostri figli e le nostre figlie, hanno problemi.
Li avevano prima della pandemia, tanti, e ne hanno ancora di più in presenza di una pandemia, troppi.

Se i ragazzi e le ragazze, i nostri figli e le nostre figlie, hanno problemi, questi non possono essere demandati (almeno non in toto), allo Stato e alle istituzioni.

Siamo noi, la famiglia, il nucleo nel quale questi problemi vanno individuati e affrontati in nuce.

E se noi, la famiglia, da soli non ce la facciamo ad affrontarli, dobbiamo pretendere che lo Stato e le istituzioni ci assistano al meglio, con attenzione e celerità.

La scuola è una delle agenzie educative che concorrono alla crescita individuale dei ragazzi e delle ragazze e, attraverso questa, dell’intera società, delle nostre comunità.
Perché nessuno di noi è un’Isola.

La scuola non è dunque il fine, ma il mezzo.

Se funziona o no, se assolve o no alle sue funzioni, lo determina la sua organizzazione: le risorse che lo Stato ci investe, il grado di modernità che riesce a programmare assecondando il mondo che va avanti, la qualità degli insegnanti e degli insegnamenti, le modalità didattiche e l’adeguato coinvolgimento di studenti e studentesse, assieme alle loro famiglie.

Questa è la scuola. Non un parcheggio, non un datore di lavoro, non una formalità a cui adempiere, non un ente astratto che è là perché c’è posto e perché risolve problemi individuali.

La sua organizzazione – cioè, il suo funzionamento – è responsabilità precipua dello Stato, quale che sia la modalità di somministrazione delle sue lezioni: in presenza, a distanza, con laboratori, in modalità sincrona e asincrona.

Se ci sono carenze, lo Stato (cfr. la ministra prima, il ministro ora) non se ne può uscire “La Dad è un disastro, torniamo in classe a ogni costo”, se quel costo è la moltiplicazione della circolazione del virus.

Deve, invece, lavorare per migliorare l’organizzazione della Dad (e il tempo c’era) e per supportare docenti, studenti e studentesse, invece che passare il tempo a demotivarli ulteriormente.

A noi famiglie (noi, sì) il delicato e soverchiante compito di supportare ancora di più i nostri ragazzi e ragazze, nel moltiplicarsi del lori problemi legati all’apprendimento, alla mancanza di socialità, alle “cadute” dell’umore o ai fisiologici traumi psicologici che possono insorgere.

Nel 90% del mondo (tutta l’Africa e molta Asia, moltissimo Sud America, alcune parti remote di Europa) le condizioni di ragazzi, ragazze e famiglie sono peggiori ed è pur sempre una fortuna, prendiamone consapevolezza, affrontare i tanti problemi che abbiamo agendo da una situazione di partenza qual è quella in cui ci siamo trovati alla nascita, senza molto merito.

Ma passerà, ancora prima se staremo uniti e con la testa sulle spalle. Scacciando il disfattismo e il senso di impotenza.

Il momento è difficile e non esistono soluzioni che possono incontrare l’unanimità dei consensi.