L’uomo senza mestiere chie no ischit facher nudda, mì – è schiavo di tutti. O in grecu, lu cheres? Anèr atecnès tois pasin est doulos. E bida l’as sa rete de Dybala?.

Era metà dicembre 2017 e non è importante specificare perché io e Paolo sapremo datarla anche quando, da qualche parte, ci rivedremo.

E’ importante per me, invece, raccontare qual è il ricordo che per primo si affaccia alla mia mente, associandolo a quel volto, quella voce, quello scrivere nitido ed elegante nello stile, così come ruvido e severo nel contenuto.

Paolo, per me, è l’intellettuale che sa dei proverbi adespoti (ricorda sempre, senza padrone) citati da tutti i paremiografi (i raccoglitori di proverbi) ma non scorda mai la biografia, anche minima, di un giocatore della sua Juventus.

Gli uomini di gran valore non hanno bisogno di considerare debolezze le cose che li ricollegano al popolo, alle sue passioni.

Del resto, se non come uomo colto del popolo, in quale altra maniera possiamo definire Paolo Pillonca?

A cosa sarebbe servito il suo enciclopedico bagaglio di conoscenze e saperi, se non fosse stato accompagnato dalla sua umanità, incontro sublime di sensibilità e romanticismo mai nascosto, onestà adamantina e lealtà estremizzata, fino alle più dolorose e simboliche rinunce.

Ai suoi occhi, ad esempio, Cicitu Masala diventò un eroe definitivo nel momento in cui seppe abbandonare il quotidiano che lo considerava prima firma della Cultura, assicurandogli una rendita fissa, unicamente perché non voleva piegarsi al Dio petrolio, che ne era editore e padrone incontrastato.

Uomo del popolo, sintonizzato con i sentimenti più ancestrali, ben rappresentati dalla poesia e dae sos versos tentos a bolu. Quando sentiva e leggeva le rime nella nostra lingua, questo spirito libero che non era né solo ogliastrino, né solo di Osilo, né solo nuorese, ma sardo fino all’ultima cellula, sembrava riconciliarsi con un mondo nel quale a volte si sentiva fuori posto.

Lo vedi quello?  Quello è come Renzi. Se ne vuoi trovare la descrizione puntuale, ti assegno un compito: cerca ne i caratteridi Teofrasto, allievo e successore di Aristotele alla guida del Peripato, nel 322 avanti Cristo. Cerca bene e vedrai che li trovi entrambi. Oppure vai a riascoltarti la gara tra Piras e Soggiu del 15 agosto 1967, a Seui. Soggiu faghiat sa parte de s’iscuru, tiu Remundu de sa lughe.

Tiu Remundu, croce e delizia. Nel 1982 conobbi Paolo, ma lui non si accorse di me, che avevo dieci anni, quando fece scandaloa Tresnuraghes. Chiamato, insieme a Brigaglia e Tuveri, a ricordare la figura di Pitanu Morete, il grande poeta locale, a mezzo secolo dalla morte, impostò la sua relazione in un parallelo tra il vecchio maestro planargese e il giovane Piras, da Villanova Monteleone.

Mal gliene incolse. I tresnuraghesi lo contestarono, ma lui non indietreggiò, mostrando la fierezza degli onesti messi in cattiva luce dall’equivoco.

In breve tempo quell’incidente venne superato, ma Paolo lo rievocava sempre in maniera auto-ironica: Balla, ma sa die, in Tresnuraghes….

Come tutti i maestri, conosceva il valore dell’esempio e dell’anedottica. C’era sempre un ricordo, un’esperienza, un  insegnamento da condividere e del quale ridere assieme.

La consapevolezza del fatto che uomini e donne hanno debolezze, sono fallaci, ma se sono stati educati ai valori antichimai potranno perdere il diritto al rispetto, al perdono, alla comprensione.

Viceversa, nessuna pietà (o seconda possibilità) a chi quei valori li tradisce, li oltraggia, li calpesta.

Tue chi ses omine, comente si costumat in sos abbojos comente su de oe? Ite diat essere deghile de istrinare a custu amigu nostru, de gabale?.

A Paolo era sconosciuto ogni atteggiamento ipocrita: preferiva avere qualche nemico, consapevole del fatto che le migliaia di persone che lo consideravano amico e gli volevano bene, sapevano che quella non era una concessione ma una adesione sincera, senza retropensieri o convenienze. Semplicemente, sa die chi apo a morrer, s’ilfadu no est tantu su e mi che andare, cantu su e aere finidu de imparare.