Il tandem Pigliaru-Paci sta varando la sua ultima legge finanziaria, due mesi prima delle elezioni regionali, infarcita di giusti provvedimenti (i mezzi pubblici gratis per gli studenti di ogni ordine e grado rappresentano un provvedimento epocale) e classiche mance elettorali.

Tutto, incredibilmente, senza tenere conto della bomba a orologeria innescata due anni fa – erano i giorni dell’annuncio dal camioncino – e che entro pochissime settimane esploderà in tutta la sua violenza, rischiando di travolgere centinaia di pastori e altrettante piccole aziende.

Dopo aver riportato il prezzo del latte a 1,15 euro al litro (correva il 2015), grazie alla legge 15/2010 e a fattori esterni, le cooperative hanno incrementato la produzione di pecorino romano del 40%, determinando una sorta di “inflazione”. Conseguentemente il prezzo del formaggio è sceso in due anni da 9 a 4,2 euro al chilo.

A causa del mancato governo di quote che limitino la produzione di romano, si è così oggi giunti a un prezzo del latte che ruota ai 60 centesimi: cifre che non sono spesso sufficienti nemmeno a nutrire le pecore.

La cosa peggiore è che alcune cooperative rischiano di restare chiuse. E il loro tenere chiusi i battenti potrebbe ingenerare, a gennaio, la conseguenza di oltre 15 milioni di litri che resterebbe senza collocazione.

Questo significa che un intero sistema potrebbe crollare, aprendo una crisi dai contorni inimmaginabili in quello che è una sorta di tessuto connettivo socio-economico delle zone interne.

Le soluzioni – posto nessuno in questi due anni, dall’annuncio dal cassone del camioncino in poi, ha lavorato per risolvere strutturalmente questa situazione – sono tutte legate a nuove forme di assistenzialismo, delle quali però a oggi non c’è traccia.

Il Consiglio regionale (ma quando, visto che la finanziaria non ne parla?) dovrebbe rifinanziare gli articoli 5 e 7 della legge 15/2010 per levare dal mercato 4 milioni di chili di pecorino romano e 20 milioni di litri da produrre nel 2019, da destinare a latte in polvere.

In questo modo, entro sei settimane, il prezzo del latte potrebbe risalire fino agli 80 centesimi al litro.

Avrebbe senso? Sarebbe l’ennesima soluzione-tampone a spese dei contribuenti ma sarebbe necessaria a salvare il comparto e la tenuta sociale di molti territori.

Sarebbe accettabile, mi permetto di ripetere per l’ennesima volta, a una sola condizione: vanno individuati strumenti che regolamentino le produzioni di formaggio, non le produzioni di latte. E serve mettere una mano seria alla gestione delle cooperative. Sono loro l’anello debole (per non dire altro) della catena.

La nuova stagione di conferimento sarà un’altra di quelle che il comparto dovrà giocare in difesa.

Questo nonostante la stagione, dal punto di vista climatico, sia stata favolosa e ci siano quindi tutte le condizioni affinché le produzioni siano copiose e di ottima qualità.

Il problema è il solito ed è di sistema: la gestione scellerata delle quote di produzione del formaggio, rimpallata tra Regione, Consorzio di tutela e il neonato “oggetto misterioso” Oilos.

Queste inadeguatezze renderanno vana una congiunzione astrale climatica, che a memoria d’uomo, in pochi ricordano.

Mentre il conto alla rovescia procede senza soste, il tema è completamente assente dal dibattito: non se ne parla in Consiglio regionale, non se ne parla sui giornali, non ne parlano i partiti, non ne parlano i candidati a governatore.

Si ha sempre più spesso la sensazione di vivere in una Sardegna non governata, assente, trasparente.

L’unica consolazione? Il Consiglio di facoltà fattosi potere esecutivo, incapace di tutto (la definizione è della compianta Nereide Rudas), è davvero all’ultima stazione della via Crucis.