La Commissione dichiara di volere il dialogo con il Governo italiano, ma verba volant, scripta manent.

Se dialogo si vuole veramente, e noi lo vogliamo, si deve partire dal nobile discorso pronunciato dal Presidente Mattarella in Svezia, da quello che si può considerare il podio dei Premi Nobel, ivi incluso quello della pace.

Il quesito è quale risposta deve dare l’Italia a una nuova caduta della crescita, già insoddisfacente, e a una disoccupazione e una povertà insostenibili?

La risposta implicita da parte dei conservatori di un’Europa che non assolve a tutti i compiti concordati è «colpa vostra che non avete fatto le riforme che avevamo richiesto», ignorando che i destinatari politici non sono più quelli ai quali quelle richieste erano state rivolte e con i quali gli accordi erano stati raggiunti.

Lo Stato è naturalmente responsabile del rispetto degli impegni internazionali da chiunque assunti, ma il punto di partenza del dialogo deve restare la questione che l’attuale Governo ha sollevato: «che fare per reagire alla caduta del Pil, di cui l’Italia ha la sola responsabilità di farsi cogliere in un perenne stato di debolezza, e per affrontare i rischi gravi di un aumento della disoccupazione e della povertà?».

La via del dialogo è stata già indicata dal Governo italiano fin dall’inizio di settembre nel documento intitolato “Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”.

Esso propone di costituire a Bruxelles un Gruppo di lavoro ad alto livello che invii il messaggio ai cittadini europei che l’Unione sta esaminando i modi per completare l’architettura e le politiche europee, con un respiro più ampio dei negoziati oggi in corso sul tema. Chi continua a ripetere che il Governo intende pilotare l’Italia fuori dall’euro e dall’Unione spera che la situazione peggiori per tentare di recuperare la sconfitta del 4 marzo e si appella al mercato affinché crei ulteriori squilibri, senza dare una risposta ai tre problemi indicati.

La soluzione allo scontro, che doveva essere evitato, passa attraverso una decisione che, come suol dirsi, salvi la faccia di tutte le parti in causa: quella del Governo, che ha indicato una strada per affrontare i tre problemi (caduta della crescita, disoccupazione e povertà), offrendo un luogo di discussione, il citato gruppo ad alto livello; quella della Commissione, che avrebbe dovuto aprire un dialogo diverso dal semplice «rispettate i parametri fiscali»; e quella degli altri Stati Membri che ignorano il problema da affrontare.

Un verba volant è che sarebbero alcuni Stati membri a non volere aprire un dialogo e, quindi, non ci sarebbe spazio per la Commissione di dare avvio alla discussione proposta. I Paesi Bassi e l’Austria si sono espressi a favore di una doverosa procedura di infrazione; se i primi avessero accompagnato la richiesta con l’impegno di riassorbire l’inaudito surplus di bilancia corrente che sottrae crescita all’Unione, e se l’Austria avesse svolto in questo frangente con più equilibrio il suo ruolo istituzionale di Presidenza di turno dell’Ue, forse avrebbero favorito il dialogo.

Il dialogo può essere avviato in forme diverse, utili e razionali, come quello avviato dall’ottima e paziente (nei miei confronti) collega francese Loiseau, che nella sua risposta al documento del Governo mi ha indicato i punti sui quali si poteva discutere. Una pari cortesia, non meno apprezzata, mi è stata usata da altri colleghi europei.

Altri, compreso il Presidente Juncker, si sono trincerati in un silenzio che voglio rifiutarmi di considerare mancanza di volontà di dialogo sui veri problemi dell’Unione.

Poiché tutti dichiarano di volere l’Europa unita la strada non può essere se non quella indicata dal Presidente Mattarella nel corso della sua visita in Svezia: dialogare e recuperare l’Esprit d’Europe.

L’Italia vuole dialogare. Sta agli altri dimostrare che vogliono occuparsi seriamente del futuro dell’Unione Europea.

*lettera aperta pubblicata su “Il Sole 24 Ore” in edicola oggi