La magistratura (inquirente e giudicante) è un organo di garanzia democratica. Punto.

Essendo composta da uomini e donne, come qualsiasi altro organo di garanzia democratica, può essere episodicamente fallace. E vivaddio. Punto.

Pur essendo episodicamente fallace, per assicurare la tenuta del dibattito democratico, al di là delle nostre convinzioni e persino delle ingiustizie che crediamo di subire (o di aver subito), non può essere delegittimata. Punto.

Queste tre enunciazioni sono altrettanti capisaldi, che da sempre pongo a guida della mia filosofia di vita. E, di conseguenza, della mia visione e analisi delle cose che accadono.

E su questi capisaldi si fonda anche il ragionamento che sto per esporre.

Ho cercato di leggere tutte le carte disponibili – mi rendo conto che sono forse molto poche – riguardo all’ordinanza di misura restrittiva che un Gip calabrese – su richiesta dei pm della Procura di Locri – ha emesso nei confronti del sindaco di Riace Mimmo Lucano.

Non ci ho rinvenuto nessuno degli elementi che mi avrebbero indirizzato a cambiare opinione su di lui: non c’è traccia di appropriazione indebita, non c’è traccia di arricchimento personale, non c’è traccia di collusione con i gruppi di affari che speculano sui migranti e sui deboli, non c’è traccia di mafia.

Questo, ai miei occhi, costituisce una questione dirimente.

Mimmo Lucano – a quel che so – è agli arresti domiciliari per aver, secondo le ipotesi degli inquirenti, violato una o più leggi dello Stato in conto terzi. Cioè, secondo la mia sensibilità, per risolvere i problemi di persone in difficoltà, che stanno male, che sono povere, che rischiano di non avere un futuro. Insomma, ha fatto il sindaco. Ha seguito una legge morale. Ai miei occhi – spero che nessuno salti su sulla sedia – non è un aggravante né una esimente, il fatto che le sue azioni fossero finalizzate ad aiutare degli immigrati di colore. Ai miei occhi la povertà, la difficoltà, il furto del futuro, non hanno colore.

Ai miei occhi, Mimmo Lucano è equiparabile a quei sindaci dell’interno della Sardegna che finiscono sotto inchiesta (alcuni persino condannati) perché si rifiutano di firmare un atto predisposto da una Unità di missione regionale, chiedendo a quella burocrazia politica di assumersi le proprie responsabilità e di non delegare le sue funzioni a chi vive isolato in una comunità in cui schegge impazzite possono reagire in maniera violenta.

E’ equiparabile a quei sindaci che sono disposti a subire le sanzioni previste per chi viola il patto di stabilità, per fornire servizi decisivi alla propria comunità, specie alla parte più debole e indifesa.

Lo equiparo anche a quei primi cittadini che provano – quando non spinti dal clientelismo o da fini elettoralistici – a procurare occasioni di lavoro ai loro compaesani, dimenticati da tutto e da tutti.

Quando un amministratore pubblico di estrema periferia (come Mimmo Lucano a Riace e come i nostri sindaci delle zone interne) rischia di finire nei guai con la legge (spesso cieca e sorda, spesso resa inapplicabile dagli incastri burocratici) non per questioni legate all’arricchimento personale ma perché antepone alla sua stessa tranquillità il benessere di chi soffre, di chi è dimenticato, di chi non ha futuro, ha a prescindere la mia solidarietà.

E’ per questo – se le premesse saranno confermate – che mi schiero a favore di tutti i Mimmo Lucano che si sono, senza badare al colore della pelle dei beneficiati. Aborro ogni tipo di razzismo: sia quello contro il “diverso”, sia quello (autorazzismo) contro l’uguale.

Spero che prima o poi questa cultura possa superare il cieco scontro fra bande ideologiche che si consuma da mesi, tra “buonisti” e “cattivisti”.

Per farlo, basterebbe farsi guidare dall’umanità.

Poi, certo, ci sono le leggi. Una condanna per aver aiutato un povero – senza nessun vantaggio personale – è una medaglia da esibire con fierezza.

Perché, cari cattivisti di destra e di sinistra (garantisti a geometria variabile), non tutte le condanne sono uguali. E il popolo lo capisce.