Leonardo Marras è tante cose: sassarese, operatore culturale, ex dirigente sportivo, ex dirigente dell’azienda di trasporto pubblico della sua città, ideatore della rasssgba Ichnos e di mille altre iniziative culturali, oggi dedica le sue energie soprattutto alla fondazione Maria Carta.

Con lui parliamo di politica, cultura e Sardegna.

Lei è da anni non solo un attento osservatore ma un agente culturale attento alle cose sarde. Guardando alle cose di Roma, che idea si è fatto sulla partenza della legislatura?

Ho avuto il grande privilegio di nascere in Sardegna, ho imparato a conoscerla e amarla.
Questo amore l’ho sempre portato con me fin da ragazzo. Ha condizionato la mia vita e influenzato le mie scelte.
I suoni, i colori, i profumi, il vento, le tradizioni, le storie millenarie dei nostri paesi sono tutt’ora i miei compagni di viaggio e fonte d’ispirazione in tutte le cose che ho fatto e spero di continuare a fare.
Ciò che succede a Roma non mi sorprende. E’ una vicenda annunciata prima del voto.

Non è dunque peregrina l’idea che in Sardegna venga aggiornato il concetto di “voto utile”, oggi integralmente riferito a quello per i partiti italiani che hanno più peso.

A mio avviso non esistono voti utili o inutili. Esiste il diritto/dovere di voto come momento alto di libertà e democrazia. Qualunque sia l’esito, bisogna rispettarlo.

In Sardegna i partiti che vanno per la maggiore (Psdaz e PdS) sono in alleanza con i partiti italiani.

La Sardegna ha bisogno di tutti. Non è tempo di continue divisioni politiche e sociali. Occorre invertire la tendenza consolidata negli anni. A mio avviso bisogna lavorare uniti per sardizzare il più possibile tutti i partiti (lo diceva Mario Melis) e movimenti che operano in Sardegna, coinvolgendoli in un progetto di riscatto e rilancio, portando nelle istituzioni nazionali ed europee la “Nuova Questione Sarda” sui temi che ben conosciamo. Per fare questo ci vogliono donne e uomini con menti aperte, orecchie attente e cuori sensibili.

Il futuro del bipolarismo italiano è quello Di Maio-Salvini? E in Sardegna, nel caso, che accadrà?

E’ difficile ipotizzare cosa accadrà in Sardegna nei prossimi anni. Il mio auspicio è che l’Isola ritrovi se stessa e guardi al suo futuro con rinnovata speranza ritrovando la voglia di lottare come hanno fatto i nostri padri.
 Non è più tempo di deleghe in bianco per nessuno. Sono di formazione e educazione sardista, mi sono identificato e continuo a identificarmi nei valori alti del Partito d’Azione che ritengo ancora un punto di riferimento culturale per la Sardegna.
Sono tra coloro a cui la parola “indipendenza” non fa paura.
A volte le alleanze sono necessarie per sostenere le battaglie che, da soli, è difficile portare avanti. Come dice un vecchio proverbio africano: “Chi corre da solo va veloce, chi corre insieme arriva lontano”. Vorrei una Sardegna che va lontano.
E’ un processo lungo, difficile, complicato ma non impossibile. Siamo noi sardi che dobbiamo convincerci.

In quale maniera, prima ancora che politicamente e a livello di partiti, in Sardegna si può combattere una vera battaglia culturale?

La cultura non è cibo solo per la mente ma motivo di nutrimento e di crescita economica in tutto il mondo. Ho sempre sostenuto che in Sardegna il nostro “oro nero” è il vasto patrimonio storico, archeologico, ambientale e culturale. Noi soli abbiamo le launeddas, il canto a tenore, i mamuthones, il pane carasau, il mirto e tanto altro. E’ questo immenso patrimonio materiale e immateriale che ci rappresenta nel mondo e noi sardi, spesso, di questi beni ci siamo vergognati abbracciando un modernismo globale che rischia di offuscare la nostra storia.
La Sardegna deve investire in cultura. E’ arrivato il momento in cui sistema produttivo e sistema culturale interagiscano e concorrano, insieme, al rafforzamento dell’identità sarda che si riconosce nella qualità del suo ambiente, delle sue bellezze, nella qualità dei prodotti e nel giovane sistema imprenditoriale che con coraggio ha scelto di fare impresa nella propria terra.

Lei, con la fondazione Maria Carta, ha inventato la manifestazione itinerante Freemmos, che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sui temi dello spopolamento dei piccoli paesi. A che punto è la battaglia?

Il progetto “Freemmos”, ossia le giornate contro lo spopolamento, ideate dalla Fondazione che ho l’onore di presiedere, è arrivato al secondo anno di vita e ha coinvolto già migliaia di persone. Lo slogan “liberi di restare” è l’obiettivo finale del nostro impegno. Abbiamo tanti giovani che dalla Sardegna partono con il tablet in mano e le launeddas nel cuore. Se prima partivano i nostri nonni con le loro forti braccia, oggi partono cervelli che abbiamo formato qui e che esprimeranno il loro potenziale dalle altre parti del mondo. Non va bene. I nostri giovani devono essere liberi di partire per formarsi ma altrettanto liberi di tornare per far crescere la propria terra.

Girando per la Sardegna e conoscendo queste nuove realtà, si è imbattuto in eccellenze sulle quali è possibile puntare?

Le eccellenze ci sono e sono tante. Nelle diverse aree della Sardegna ho avuto modo di incontrare numerose aziende (soprattutto al femminile) che con la loro capacità e determinazione riescono a coniugare il rapporto con la terra con applicazioni tecnologiche all’avanguardia.
Dobbiamo fare in modo che queste realtà diventino la normalità e non l’eccezione.

Lei è sassarese, molto addentro alle cose della sua città. Perché questa consiliatura, che pure era nata con un plebiscito al sindaco Pd, si è rivelata così turbolenta?

Sassari è la città della “cionfra”, una sorta di università della dissacrazione. Stavolta si è esagerato e i sassaresi stanno perdendo la voglia di sorridere.
 Questo dovrebbe far riflettere tutti.

Cosa vede dietro l’angolo, per il capoluogo turritano?

Non bisogna guardare dietro l’angolo da cui potrebbero arrivare brutte sorprese. A mio avviso occorre guardare avanti. Sassari e la sua storia costituiscono un patrimonio di cui i sassaresi devono andare fieri e orgogliosi. Ripartire con passione, convinzione e determinazione per rafforzare la propria identità. Identità che nel corso degli anni si è offuscata. Mi piacerebbe vedere una città più coraggiosa e meno litigiosa.

Si chiede mai come sarà la nostra terra fra cinquant’anni?

Lo immagino spesso. Penso ai miei figli. A Matteo, il più giovane, che sta a Bologna. Lui è una delle tante menti di questa terra che pur avendo nostalgia di casa è fuori per lavoro. Mi piacerebbe che tornasse qui. Mi piacerebbe vederlo costruire una famiglia in questa splendida terra. Una terra finalmente libera dai ricatti e dalle sopraffazioni, una terra che vive in armonia e pace come è sempre stato nella sua storia millenaria.