Dolores Lai, già assessore comunale a Sassari, attualmente nello staff del presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, è da qualche settimana candidata alla segreteria regionale del Pd.

Con lei parliamo della situazione politica e delle prospettive del Pd sardo.

Il confronto sul governo è arrivato al momento decisivo. Qual è la soluzione che giudica più probabile?

È difficile immaginare gli esiti delle trattative per la formazione del nuovo governo anche se dopo il rifiuto di Renzi all’ ipotesi di un contratto con di Di Maio le urne sembrano la soluzione più probabile. Tuttavia dopo i continui ribaltamenti di scena e dopo anche il risultato delle elezioni regionali in Friuli Venezia Giulia tutto può essere ancora nuovamente possibile.

A suo avviso come la base del Pd sardo vive l’ipotesi di alleanza con Di Maio? E lei, come la pensa?

Gli umori della base del Pd in Sardegna credo siano in linea con i sondaggi di questi ultimi giorni che certo non evidenziano un particolare gradimento verso un’intesa con i cinque stelle. Personalmente comprendo chi rifiuta di sedersi ad un tavolo con coloro che ti hanno insultato ma penso anche che il confronto, in politica, non si debba negare soprattutto all’indomani dell’elezione di un Parlamento con una legge elettorale che ha riproposto uno schema sostanzialmente proporzionale.

È presto per un serio bilancio – e dunque una autocritica – su quanto accaduto in casa Pd nell’ultimo decennio?

Indubbiamente è ora. Ricordo che quando abbiamo partecipato alla nascita del PD tutti abbiamo lavorato per un partito che in un sistema bipolare rappresentasse al meglio istanze e valori del centrosinistra. Ma fin da subito abbiamo rinunciato a definire i limiti, i confini e i valori di questo progetto, forse perché troppo impegnati a mantenere assetti interni e spazi di potere. Abbiamo smesso troppo presto di guardare in faccia la realtà e di cercare di interpretarla e abbiamo accettato acriticamente le scelte di un ‘ Europa che di fronte alla crisi economica ha usato come unica medicina l’austerity, con conseguente aumento di povertà e disparità economiche. Abbiamo smesso cioè di rappresentare gli esclusi, le periferie, le povertà e a tratti perfino il ceto medio di insegnanti, dipendenti pubblici, partite i.v.a, piccoli commercianti, artigiani, storicamente nostri elettori.
Destra e sinistra esistono ancora e rappresentano due visioni del mondo differenti. Noi da che parte stiamo?

Lei è scesa coraggiosamente in campo, proponendosi per la nuova segreteria. Può assicurare una vera svolta o è un volto nuovo, in conto di vecchi equilibri? Con quali voti immagina di essere eletta?

Ho deciso di candidarmi fuori dagli schemi e dalla aree, con metodi nuovi e irrituali, senza consultazioni preventive né calcoli. Ho voluto dare un segnale istintivo di rottura che col passare dei giorni si è trasformato anche in un invito a quanti hanno voglia di mettersi in gioco senza paura, a cominciare dalla mia generazione. Quanto al resto, con modestia e tanto orgoglio registro l’incoraggiamento e il sostegno di militanti, dirigenti, simpatizzanti e di uomini e donne che si sentono democratiche e democratici ma che non si riconoscono più nel Pd: ecco, mi piacerebbe essere eletta segretaria da tutte queste persone per coinvolgere i sardi in un PD nuovo.

Ora si parla di Pd sardo, federato con Roma. Una proposta che Cabras e Maninchedda lanciarono già a inizio di questa legislatura. Non le pare che questa proposta arrivi fuori tempo massimo? Nel senso che possa essere interpretata come una mossa disperata per salvare il salvabile.

Il progetto del Pd sardo è una vecchia storia. È contenuto nelle premesse del nostro statuto e ciclicamente si ripropone nel confronto interno. Mi chiedo perché in tutti questi anni non si sia realizzato e soprattutto perché non l’abbiano realizzato coloro che oggi lo propongono visto che avevano ruoli e possibilità per farlo. Il Pd in Sardegna potrebbe essere già autonomo con un’ assemblea, una direzione, e una segreteria autorevoli ma purtroppo siamo stati autonomi solo nel dividerci in gruppi autoctoni e correnti “originalmente” sarde.
Parlare di Pd sardo, oggi, significa prestare il fianco a quanti lo vedono solo come una scorciatoia per scappare dalle nostre responsabilità politiche ed una mascheratura per meglio nasconderci alle prossime regionali.

Il nuovo Pd sardo, nell’ipotesi che venga guidato da Dolores Lai, verso quali altre forze guarda?

Il Pd che immagino guarda prima di tutto ai sardi e alle sarde, ai loro bisogni e alle loro speranze. Si rivolge alla nostra comunità con semplicità ed è a disposizione di quanti tra noi pongono al centro il tentativo di costruire il diritto ad un lavoro che non sia sempre ricatto o ripiego ma corrisponda anche alle proprie aspirazioni. Guarda coloro che metteranno al centro l’istruzione come unico e solo strumento in grado di consentire alla nostra comunità di uscire dalla povertà di oggi e soprattutto di costruire la ricchezza di domani.
Guarda a chi vorrà pensare più alla trasformazione della nostra agricoltura e del nostro allevamento che ad una politica di incentivi a pioggia che danno solo unsollievo contingente ed effimero;a chi ha un’ idea di turismo e di sviluppo in generale che tenga ferma la necessità di preservare la nostra terra per le nuove generazioni;a chi non avrà timore di rivendicare il rilascio delle terre per troppo tempo occupate da servitù militare; a chi capisce che oggi non è il tempo di chiudersi ma di aprirsi alle opportunità che il mondo ci offre.
Da segretaria politica del Pd in Sardegna guarderei quindi a tutte quelle forze politiche progressiste di sinistra, ma anche a tutto quel vasto mondo dell’associazionismo così vivo nella nostra regione che ha nel proprio DNA i valori dell’autonomia e della sinistra.

Il deficit di vero rinnovamento delle classi dirigenti è quel che più potrebbe frenare la credibilità delle proposte della classe politica sarda. Come pensa si possa superare questa difficoltà?

Non c’è stato un rinnovamento delle classi dirigenti politiche sarde perché è mancato lo sforzo di elaborare progetti politici in grado di coinvolgere anche le nuove generazioni.
Questi ultimi sono figli di un altro tempo, la cosiddetta generazione Erasmus, interconnessa con il mondo, aperta, coraggiosa ma spesso anche molto sola, disorientata , priva di prospettiva e opportunità adeguate. Per governare, guidare o semplicemente stimolare questo enorme potenziale possiamo continuare a parlare in maniera autoreferenziale di rinascita, autonomia, sovranità o abbiamo bisogno di ascoltare il mondo che si immaginano e desiderano?

Ha una ricetta per superare il centralismo burocratico che fa sì che la Regione venga percepita come un fortino inespugnabile da parte delle autonomie locali?

Davanti alla crisi il sistema ha reagito in difesa accentrando, convinto così di poter mantenere la pace sociale.
L’Europa si è comportata in maniera accentratrice verso gli stati, a sua volta lo stato verso le regioni e la regione verso gli enti locali.
Questa scelta è stata fallimentare lasciando i territori e i cittadini privi di risposte in conseguenza dei drammatici tagli e dei vincoli imposti agli enti locali.
E la classe politica sarda, pur avendo la regione competenza primaria, non è stata immune da queste spinte e non è riuscita a ragionare in termini di un autogoverno del territorio che tenesse conto delle proprie peculiarità e delle reali esigenze.
Dobbiamo avere il coraggio di affrontare senza tabù e preclusioni il tema degli enti intermedi e degli enti locali e la riforma regionale, scritta in linea con la riforma Del Rio e dando per scontato l’esito positivo del referendum costituzionale, è oggi necessariamente da rivedere.
Fermo restando che la Sardegna è una comunità unica e che su tanti temi come l’ambiente, l’energia, l’acqua, si deve ragionare in termini solidali evitando egoistici localismi.

È convinta del percorso imposto dal presidente Pigliaru alla riforma urbanistica?

Sulla materia urbanistica c’è un punto fermo che rappresenta una conquista del centrosinistra ed è quello di essere riusciti ad affermare una nuova consapevolezza ambientale. Nessuno, rispetto a questo punto, può fare passi indietro neanche il centrodestra, come ha dimostrato nella legislatura in cui ha avuto il governo della Regione. La legge urbanistica è uno strumento che serve inanzittutto a semplificare il rapporto tra regione e gli enti locali, facilitando enormemente l’approvazione dei piani urbanistici comunali che sono lo strumento di attuazione del Piano paesagistico regionale. Serve in sintesi a semplificare i rapporti burocratici e a rendere efficace quella grande riforma della legislatura Soru.

Come sceglierebbe il prossimo candidato (o candidata) del centrosinistra alla presidenza della Regione?

Ringrazio anzitutto per aver posto nella domanda l’ipotesi di una candidata alla presidenza.
Mi rendo conto che le nostre divisioni sono riuscite anche a far perdere credibilità alle primarie ma queste per me in un PD realmente rinnovato restano la via migliore per la scelta dei candidati.