Franco Cuccureddu, 53 anni, ex consigliere regionale, sindaco di Castelsardo, presidente della Rete dei Porti.

Con lui parliamo di politica, Comuni e Sardegna.

A quasi due mesi dalle elezioni l’Italia non ha ancora un governo.

E probabilmente non lo avrà e si tornerà a votare. Il sistema proporzionale impone accordi ed alleanze, che difficilmente possono però realizzarsi fra forze politiche e fra persone che si sono insultate e calunniate quotidianamente per anni, spesso mettendo reciprocamente in dubbio la rispettiva competenza ed onestà. Difficile instaurare di punto in bianco un clima di fiducia reciproca fra queste stesse persone. In sistemi multipolari, come è ormai divenuto il nostro, piuttosto che premi di maggioranza sotto il 40% (che peraltro la Consulta ha già dichiarato incostituzionali) forse l’unica strada per garantire rappresentatività e governabilità è quella di un sistema a doppio turno alla francese.

La via d’uscita può essere rappresentata dal tentativo Movimento 5 Stelle-Pd?

Un governo PD – 5 Stelle sarebbe un grande regalo al centro destra, che avrebbe gioco facile ad evidenziarne le contraddizioni e
sfruttare il malcontento che già serpeggia fra i due elettorati. Io credo però che questa alleanza non nascerà ed il Presidente della Repubblica dovrà inventarsi qualche governo di durata stagionale (balneare/autunnale) per tornare al voto, magari assieme alle regionali dell’inverno 2019.

Ma in tutto questo la Sardegna resta spettatrice. Che senso ha avuto continuare a votare per i partiti italiani?

La Sardegna pesa per il 3%, della popolazione italiana e per il 3% della rappresentanza parlamentare. Qualunque tessera portino in tasca i parlamentari sardi questo è il peso su cui si può contare. Se poi si aggiunge il fatto che molto spesso i parlamentari sardi non riescono a fare squadra fra loro, il peso cala ancora fino ad essere sostanzialmente ininfluente. La Sardegna conta solo quando è in grado di esprimere personalità di grande spessore, che riescono a ritagliarsi ruoli nazionali importanti, senza voler tornare indietro ai tempi dei due presidenti della Repubblica ed al segretario del PCI, in tempi più recenti abbiamo avuto due apprezzati ministri, in ministeri importantissimi, come Pisanu e Parisi, poi più niente di significativo.

Quali sono le priorità della Sardegna, in questo 2018?

La priorità assoluta per la Sardegna nel 2018, ma anche nel 2019, nel 2020, ecc. è quella di darsi un progetto, di dotarsi di un modello di sviluppo adeguato alle proprie risorse ed alla propria condizione geografica. Solo con una visione strategica si può sperare di attrarre investimenti di dare prospettive di vita professionale ai giovani, di crescita e di sviluppo alla società sarda. Dal mio punto di vista, questo modello di sviluppo non può che essere incentrato sul turismo. Trasformare la Sardegna in una vera regione turistica, passando dall’improvvisazione alla professionalità, dalla gestione “artigianale” della ricettività e dei servizi alla industrializzazione dell’offerta turistica, è, a mio avviso, indispensabile per affrontare, non con soluzioni tampone, pur necessarie, ma in maniera strutturale, l’emergenza data dalla crescente povertà, dalla disoccupazione e dal disagio sociale. Apprezzo molto l’impegna e la capacità in tal senso dell’assessore Barbara Argiolas, ma credo che lo sviluppo turistico debba diventare la priorità strategica dell’intera giunta, dell’intero consiglio regionale e direi di tutte le forze politiche, sociali, sindacali, di tutti i sardi. Certo non mancano poi i problemi nella sanità, nell’agricoltura, nella pesca, nella modernizzazione delle infrastrutture, basti pensare che siamo sotto infrazione comunitaria per la mancanza di depuratori e scarichiamo ancora i reflui fognari direttamente a mare.

Il centrodestra sardo deve preoccuparsi dal fatto che il Movimento Cinque Stelle, dopo il risultato del 4 marzo, pare essere il grande favorito delle elezioni di febbraio 2019?

I 5 Stelle hanno avuto alle politiche in Sardegna il 42,5% dei consensi, il centro destra il 31%, il centro sinistra meno del 18%. Rimontare l’11,5% in un anno non mi pare semplice, anche se in altre regioni, dal Lazio al Molise, si è dimostrato che alle regionali si vota più per stima e per conoscenza personale, che non il simbolo, per questo tutto è possibile. Mi pare che i 5 stelle in Sardegna abbiano pescato a piene mani nel bacino di voti tradizionalmente della sinistra. Con candidature forti, che sono certo il centro sinistra riuscirà a mettere in campo, credo che le distanze fra i tre poli alle regionali si avvicineranno di molto. Ciò non significa che i 5 Stelle, secondo me, non continuino ad essere favoriti per il successo.

C’è chi lavora a una coalizione che scomponga gli attuali poli di centrodestra o centrosinistra.

Ci saranno tentativi i soliti smarcamenti di qualche partito dalla propria coalizione e di passaggio ad un’altra, seguendo magari le indicazioni dei sondaggisti, come peraltro è sempre avvenuto in ogni fine legislatura, ma credo più a spostamenti limitati che non a scomposizioni dei poli.

Si parla di una nuova centralità di Lega-Psdaz, anche a livello sardo.

Il risultato delle politiche è stato per loro molto positivo, poi se i dati delle politiche varranno come indicazione per la scelta del candidato Presidente del centro-destra, allora la designazione continuerà a spettare a Forza Italia. Credo però che sia ancora lontano il momento della scelta del candidato governatore. Mi auguro che si individui una personalità che sia in grado di rappresentare un cambiamento vero, rispetto alle logiche spartitorie dei partiti, e che possa incarnare una nuova via per lo sviluppo e la crescita economica della Sardegna, insomma mi auguro che si individui una persona capace di ispirare fiducia e restituire ai sardi l’orgoglio e l’entusiasmo necessari per impegnarsi ad investire il proprio futuro restando nell’Isola.

La battaglia per inserire l’Insularità in Costituzione è davvero necessaria?

Io non sento l’insularità come un handicap, non mi sento handicappato per il fatto di esser sardo. Io credo che vivere in un’isola possa essere visto come uno svantaggio od una grande opportunità a seconda che il modello di sviluppo perseguito sia adeguato o meno alla nostra condizione insulare. Mi spiego con degli esempi, realizzare un petrolchimico ad Ottana, con i costi di trasporto del petrolio dalla penisola arabica, i costi di trasporto interno e poi i costi di trasporto oltre Tirreno per i prodotti lavorati, sicuramente porta fuori mercato quelle produzioni (se non assistite dalle partecipazioni statali, come avveniva un tempo) e crea disperazione in un territorio, che con la cesura di una generazione, ha, in gran parte perso anche quella cultura dei saperi locali, che da secoli si tramandava di padre in figlio. Nella mia città, Castelsardo, è in atto una trasformazione del modello turistico, i principali alberghi sono stati acquistati o presi in affitto da un grosso operatore alberghiero internazionale, ed il tour operator olandese, che riempie questi hotel da fine marzo e sino al prossimo novembre, al quale ho parlato dei problemi della continuità territoriale, mi ha risposto sorridendo, che i turisti li porta dall’Olanda all’aeroporto di Alghero e poi a Castelsardo con i suoi aerei, con 4 voli settimanali, per ora da fine marzo a novembre (ma si spera di prorogare l’operazione anche nei mesi invernali), quindi per lui è del tutto indifferente che la Sardegna sia un’isola o meno, così come gli è indifferente portare i turisti del nord Europa a Palma di Maiorca, a Tenerife, a Castelsardo o al Sharm el Sheikh. Questo significa che se adeguiamo il nostro modello di sviluppo al fatto di essere un’Isola, se riusciamo ad attrarre le grandi catene alberghiere ed i grandi tour operator internazionali, potremmo riuscire a quintuplicare, in pochi anni, l’incidenza del turismo sul PIL della Sardegna. A quel punto ci renderemo conto che essere sardi e vivere in una bellissima isola nel Mediterraneo non è un handicap che necessità di compensazioni o di elemosine ma è una vera fortuna.

Cosa pensa dell’accelerazione di Pigliaru sulla legge urbanistica?

Accelerazione? Legge urbanistica e correzione di alcune storture del PPR, sono una assoluta priorità, lo erano all’inizio di questa legislatura ma anche di quella precedente. Diciamo che si sono persi 9 anni, con leggine tampone come il piano casa. Legge urbanistica e rivisitazione del PPR sono atti strumentali per perseguire quel nuovo modello di sviluppo di cui parlavo, per la trasformazione della Sardegna in una vera regione turistica e per attrarre in Sardegna le grandi catene alberghiere internazionali ed i principali Tour operator. Tutto questo nel massimo rispetto dell’ambiente e riducendo al minimo il consumo del territorio.

Cosa farà Cuccureddu, nel 2019?

Nel 2019 avrò le elezioni nel mio Comune, mentre per quanto riguarda le regionali, assieme a tanti amici sindaci, ed amministratori comunali stiamo valutando se dar vita o meno ad una lista, nell’ambito della coalizione di centro destra, che punti ad un modello di regione “snella”, che ponga al centro della programmazione i comuni e non la Regione o le Unioni dei Comuni. Le politiche programmatorie regionali, dal piano di rinascita in poi, hanno infatti fallito, come eloquentemente testimoniato dal fatto che, dopo 12 anni, torniamo, a partire dal 1° gennaio 2020, nel famigerato “Obiettivo 1”, quindi siamo scesi di nuovo sotto il 75% del reddito medio pro capite dell’U.E., nonostante gli ingenti investimenti europei degli ultimi 25 anni. Bisogna quindi fare delle scelte chiare, forse anche coraggiose, non disperdere più risorse in settori che non hanno concrete prospettive di sviluppo, è necessario puntare su un modello nuovo e sostenibile, basato sul turismo, per il quale si prevede da quì al 2030 una crescita media fra il 2 ed il 3% all’anno. E’ necessario, a nostro avviso avvicinare il più possibile l’amministrazione pubblica al cittadino puntare a dare ai sardi un progetto di sviluppo condiviso, con i comuni, con i sindaci e con i cittadini, un modello in cui credere e quindi fornire una prospettiva di vita ai giovani, che sia alternativa a quella, sempre più praticata, della nuova emigrazione.