Vindice Lecis, giornalista e scrittore, è nato a Sassari nel 1957. Dal 1981 ha lavorato per sei testate del Gruppo Editoriale “L’Espresso” come capo cronista, capo redattore e inviato.

Recentemente ha pubblicato “Il nemico”, il suo quindicesimo libro, dal 2003 a oggi.

Con lui parliamo di politica italiana e sarda, con accenni al ruolo dei vecchi e dei nuovi media.

Il confronto sul governo è arrivato al momento decisivo. Qual è la soluzione che giudichi più probabile?

Le elezioni sono state una sorta di plebiscito contro le stagioni politiche e di governo di questi ultimi anni. E contro il Pd, anzitutto, che ne ha incarnato le scelte più odiose e feroci. Mi chiedo se però i 5 stelle potranno dare sviluppo a politiche di rottura contro le imposizioni europee dell’austerità e del rigore, le vere sciagure dell’epoca recente. I primi atti così rassicuranti di Di Maio verso i circoli finanziari e la Nato, non vanno in quella direzione. La Lega è ancora avvinghiata a Berluconi, che ha rappresentato uno dei punti più bassi della storia e dell’etica repubblicana. Governare insieme sarà complicato per gli interessi diversi di cui sono portatori quei partiti. Le strade sono strette per i 5 stelle: o governare con la Lega o col secondo forno, il Pd. Siamo al trasformismo.

Se questo scenario dovesse verificarsi, cosa è lecito aspettarsi di concreto, dal punto di vista dell’azione legislativa ed esecutiva?

I 5 stelle vogliono abolire jobs act, buona scuola e legge Fornero. Il pd invece no. La Lega dice di volerlo ma Berlusconi ha sempre appoggiato quei provvedimenti.

È presto per un serio bilancio – e dunque una autocritica – su quanto accaduto in casa Pd nell’ultimo decennio? E la vera sinistra?

Il Pd non è figlio della sinistra, di nessuna formazione della sinistra, ma una degenerazione del sistema dei partiti che ha avuto le sue sciagurate origini con il finto bipolarismo imposto per legge. Il Pd è dunque espressione della scomparsa delle idee di equità e giustizia sociale, del non vedere come il conflitto tra capitale e lavoro è sempre vivo e presente anche se in forme nuove. Un partito non è un’alleanza tra diversi. E per questo non può diventare un’indigesta melassa o presumere di voler rappresentare ogni cosa, da Marchionne ai metalmeccanici o dai pastori agli industriali caseari. Non è posibile. Si può avere chiaro l’interesse nazionale anche scegliendo di rappresentare un ceto sociale, quello del lavoro e dei precari. Invece il Pd è un partito confuso sin dai tempi di Veltroni. Più che un tradimento di idee, una confusa mescolanza moderata tra lontanissimi parenti di grandi forze. Il Pd sta fallendo perché come le socialdemocrazie europee rappresenta le elite privilegiate e porta avanti tutto ciò che i circoli finanziari desiderano e chiedono.

Il futuro del bipolarismo italiano è quello Di Maio-Salvini? E in Sardegna, nel caso, che accadrà?

Il bipolarismo è già un cane morto. In Italia i poli sono almeno tre. E comunque le contraddizioni tra Di Maio e Salvini esploderanno presto. I leghisti non possono fare i popolani come dicono e poi stare con Berlusconi. E Di Maio non può strillare sui danni del pd e poi tranquillizzare i circoli europei. In Sardegna il bipolarismo tra chi dovrebbe essere? Auspico che non si produca e che, nonostante una legge elettorale antidemocratica, ci sia invece una rappresentanza di orientamenti

Ora si parla di Pd sardo, federato con Roma. Una proposta che Cabras e Maninchedda lanciarono già a inizio di questa legislatura. Non ti pare che questa proposta arrivi fuori tempo massimo? Nel senso che possa essere interpretata come una mossa disperata per salvare il salvabile.

La proposta di Pd sardo per come è stata impostata, è una fuga, una furbata propagandistica priva di spessore teorico sulle questioni dell’autonomia regionale e viene dagli stessi protagonisti della sciagurata adesione al sì referendario. Serve solo ai soliti noti. L’illusione che si possono raccattare un po’ di voti fingendosi super autonomisti o indipendentisti la trovo ridicola e anche offensiva. Contano le politiche che si propongono sul lavoro, lo sviluppo, l’ambiente, l’identità. Non finte autonomie da Roma.

Sei stato critico con PsdAz, PdS e Autodeterminatzione. Ma dunque non vedi strada per una via tutta sarda al governo della Sardegna?

Vediamo i vari punti. Il Psd’Az viene da una lunga stagione di correità con la destra, in Regione e a Roma. Non dimentichiamo che questo Psd’Az non ha nulla a che fare con gran parte della sua storia migliore. Si può stare con la Lega? Sono stati alleati di Berlusconi e Cappellacci, tutto è possibile. Il pds è invece una furba mescolanza dorotea in salsa sarda, influenzato dalla forte personalità del suo capo passato attraverso multiformi esperienze politiche. Un post dc. Autodetermitatzione è o era un progetto generoso e da non prendere sottogamba. Aveva un orizzonte più ambizioso ma non si può pensare di annegare in un contenitore le contraddizioni tra la destra e la sinistra, perché le ricette sono diverse. O dovrebbero esserlo su tutto. Lo dico provocatoriamente perchè non basta dirsi sardi per poter essere progressisti. Io sono profondamente autonomista. Credo nell’autogoverno dentro l’ordinamento regionalistico e repubblicano, mai attuato sino in fondo. La questione sarda ha una sua specificità, non è una semplice questione economico sociale tipica del Mezzogiorno anche se vive di riflesso le contraddizioni del mercato globale e i suoi colpi negativi che non hanno portato modernità ma ancora più rapina e miseria. I sardi e la Sardegna vengono da un contenuto profondo e costituiscono, per dirla con Umberto Cardia, una entità storico politico e culturale peculiare e distinta che affonda le radici nel lontano passato dell’isola, nella specificità etnica e nella particolarità della sua vicenda storica, nell’aspirazione all’autogovermo tradotta in lotte tenaci di resistenza e in istituzioni specicifiche, autonome o parzialmente tali. Io credo nell’unità del popolo sardo e lo vorrei in marcia verso la salvezza dell’isola. Il popolo sardo deve ridiventare soggetto dirigente del proprio sviluppo nella democrazia. Mettendo al bando illusioni e velleitarismi.

Il deficit di vero rinnovamento delle classi dirigenti è quel che più potrebbe frenare la credibilità delle proposte della classe politica sarda. Come pensi si possa superare questa difficoltà?

La giunta Pigliaru e quella di Cappellacci a mia memoria sono le meno autonomistiche della storia sarda. Non è solo questione di mal governo ma di incapacità nel comprendere quella specificità di autogoverno che lo statuto, volendo, ci offre in luogo del finto rivendicazionismo e del fastidioso piagnisteo autoassolutorio. Queste classi dirigenti più recenti non conoscono la storia, non hanno idea della cultura sarda come coscienza collettiva del popolo sardo, ma raggiungono il massimo del piacere quando si affidano alle magnifiche sorti e progressive del mercato globale o non vedono lo sfascio della sanità baloccandosi con i numeri di ospedali o posti letto. Il consiglio regionale appare incapace di rivendicare e difendere il ruolo della nostra isola con Roma ma non solo. preferendo affidarsi al personaggio di turno, magari dal nome e cognome esotico. Sull’attività del Qatar in Sardegna si dovrebbe puntare un faro, ad esempio. La vicenda dello sciagurato piano urbanistico che la giunta vuole attuare è indicativa.

Ti manca fare il giornalista in un quotidiano? E qual è il ruolo dei media nella nostra società?

Dopo più di 35 anni fare il giornalismo con altri mezzi può essere interessante e dedicarsi alla ricerca storica fa capire meglio la situzione odierna. I giornali dovrebbero rappresentare i problemi e svelare i conflitti, chiamando i responsabili per nome e senza avere timore di disturbare qualcuno. Credo che rappresentare chi non ha voce e non le grandi famiglie o i potenti di turno sia la strada da seguire.

In questi giorni hai dato alle stampe la tua ennesima fatica letteraria, un romanzo storico sulle tensioni e le attenzioni che ruotavano attorno al PCI del dopoguerra. Ce ne parli?

“Il nemico” parla della guerra fredda, della divisione del mondo in blocchi contrapposti. Racconto il cuore di tenebre della giovane repubblica italiana che viveva la contraddizione di essere una democrazia ad autonomia limitata, soggetta ai voleri delle esigenze e degli interessi dell’Occidente. Così come accadeva dall’altra parte, beninteso. Sono attratto dalla zona d’ombra che in questo Paese è stata attraversata tante volte, oltre il lecito. Il Pci, che aveva una struttura di vigilanza interna molto efficiente, aveva fatto una scelta netta e chiara per la democrazia parlamentare ma ha subito per decenni le attenzioni dei servizi segreti e dei governi che si sono succeduti. Nel libro c’è anche molta Sardegna e alcuni documenti inediti: dalle schede dell’ufficio quadri sulla vita dei militanti, sino al tentativo di infiltrazione del contro spionaggio dell’aeronautica dentro il Pci sardo. E altro ancora.

Che messaggio lascia, rileggere quella storia e quella stagione democratica in un tempo come quello che viviamo oggi?

Quella era una stagione di enormi contrapposizioni dove certe passioni si pagavano con la vita e subendo discriminazioni feroci. Eppure i comunisti e i democristiani, con altre forze, riuscirono a scrivere una Costituzione avanzata anche se inattuata, mettendo cioè le basi della convivenza civile e politica della democrazia italiana. Il messaggio primo è questo. Il secondo è che oggi la mancanza dei partiti di massa ha provocato lo svuotamento della democrazia, spesso ridotta a un simulacro e in mano ai poteri finanziari, irresponsabili, al cui centro c’è il profitto e non lo sviluppo dell’uomo.