Il problema della pastorizia è figlio di decenni di errori di programmazione politica, nata con le migliori intenzioni, quelle di salvaguardare quel settore che dà da mangiare all’umanità.

Ma spesso il difetto degli interventi è quello di non riuscire ad integrare le azioni avendo una visione d’insieme, finendo poi per produrre scompensi. Infatti, come in un ecosistema quando si inseriscono variabili aliene, gli squilibri diventano inevitabili, e spesso i rimedi si rivelano peggiori dei mali.

All’odierna sofferenza della pastorizia e in dell’agricoltura l’unico rimedio immediato sarebbe quello di trovare una soluzione per cercare di sbloccare il rugginoso sistema dei pagamenti di incentivi e compensazioni.

A maggior ragione in annate come quella attuale, dove alla concatenazione di crisi dei mercati si sommano catastrofi naturali come la siccità, i pagamenti dovrebbero essere veloci ed efficaci.

Oggi paghiamo la mancata attivazione dell’organismo pagatore della Sardegna che avrebbe dovuto sostituire il sistema AGEA, sul quale i fari della magistratura evidenziano sospetti e storture. Non sarebbe certo sufficiente rimediare utilizzando gli attuali uffici regionali i quali, anch’essi, non brillando per efficienza, necessiterebbero di profonde revisioni.

Ma il solo sblocco dei pagamenti sarebbe pur sempre un rimedio contingente a tampone di una situazione di emergenza, sia pur necessario per il salvataggio di aziende tenute in piedi esclusivamente dalla caparbietà e dall’orgoglio degli operatori.

In realtà il sistema agro zootecnico avrebbe bisogno di strategie di lungo termine, progettate e strutturate in modo da produrre inversioni di tendenza e risultati di lungo periodo, perché, sarebbe bene dirlo chiaramente, di soluzioni immediate e miracolose non ne esistono.

Come si diceva, ciò che sembra mancare è la visione d’insieme. Non è sicuramente sufficiente agire su singole porzioni della filiera, ma oggi più che mai è necessario pensare ad azioni integrate che comprendano non solo incentivi, ma anche regole, obblighi e controlli efficaci e veloci, finalizzati ad avere ricadute su tutto il sistema.

Il problema del prezzo del latte ha le stesse radici di quelli dei produttori di pomodori della Campania o delle arance della Sicilia, e non è causato da un destino cinico e baro, ma dai mali di una filiera malata nel suo complesso.

Infatti, da una parte il produttore primario, oggi forse la parte più debole, si trova schiacciato dal trasformatore come lui stretto dal sistema distributivo, subisce su di sé i tentativi di ridurre i costi per il mantenimento della competitività. Dall’altra parte la catena distributiva comincia a soffrire la guerra dei prezzi, di offerte sottocosto e di concorrenza che essa stessa ha innescato al suo interno.

Se ne leggono i segnali negli Stati Uniti, dove numerosissimi mega centri commerciali si stanno rapidamente trasformando in giganteschi scheletri di strutture deserte, uccisi da un meccanismo economico che costringe al cannibalismo concorrenziale, in cui né meccanizzazione né sfruttamento di manodopera a basso costo riesce più ad evitare il tracollo.

Basterà in questo contesto eleggere un pastore per risolvere i problemi della pastorizia o un altro operatore per salvaguardare il proprio comparto? Non sembra questa la risposta più adeguata. Servono invece sia le competenze e le percezioni dell’allevatore, quanto quelle del trasformatore ma senza prescindere dalla visione distributore commerciale. L’ascolto dei vari componenti delle filiere è un punto cruciale.

Ma allora che fare in questa situazione? La risposta, l’abbiamo già detto, non è facilissima e d’altronde non basterebbero certo le proposte di poche persone in questo piccolo spazio di discussione, per elaborare soluzioni. La cosa più sensata sarebbe trovare il modo di agire ragionando sull’intera filiera, evitando interventi disomogenei, slegati o addirittura in contrasto tra loro.

Come farlo? Si tratta di mettere insieme menti diverse, diverse competenze, personalità e sensibilità. In una parola: fare sistema. Cominciare a farlo nelle stanze dove si dovranno programmare gli interventi, quelle della politica, e da queste il “fare sistema” dovrebbe uscire e diffondersi nelle campagne, negli stabilimenti e nei mercati.

È proprio dai mercati che bisognerà ripartire. Là dove si forma il prezzo finale pagato dal consumatore, là dove spesso non si riesce regolare lo squilibrio dei poteri contrattuali. Ma è anche il luogo dove si scatenano le guerre di concorrenza che finiscono per penalizzare le parti più deboli della catena produttiva.

È ancora nei mercati che si formano le sensibilità dei consumatori, ed è là si dovrebbe agire per differenziare e promuovere adeguatamente la qualità dei prodotti per riconoscerne il giusto valore.

Gli strumenti sono tanti, ci sono i marchi di qualità, DOP e IGP, che ancora non utilizziamo in maniera adeguata, ci sono gli incentivi alla commercializzazione delle produzioni di qualità e le grandi campagne di comunicazione, solo per dirne alcuni. Il settore del vino può insegnare molto su quest’aspetto.

Ci sono da migliorare le forme di cooperazione. Arborea è un esempio virtuoso dove tutta la filiera è governata in maniera omogenea che permette di affermare la propria politica commerciale senza farsi sopraffare. La cooperazione offrirebbe numerosi altri strumenti, possibilità di investimento e controllo della catena produttiva, come pure la possibilità di partecipare al governo delle catene di distribuzione investendo direttamente come azionisti.

Si tratta di innovare le filiere. Innovare non vuol solo dire ricorrere a soluzioni tecnologiche futuristiche, farlo è anche il solo offrire prodotti rinnovati o ai nostri mercati consolidati, oppure gli stessi prodotti a nuovi mercati, ma anche nuovi prodotti a nuovi mercati.

Le possibilità ci sono, si tratta di trovare il modo di riuscire ad attivarle, di fare sistema mettendo insieme competenze e risorse, ripensare e costruire il sistema delle regole, degli incentivi e dei controlli in modo da creare le giuste sinergie per poter ripartire.