A una veloce ricognizione delle liste di Progetto Autodeterminatzione registro la presenza di un giornalista, tre imprenditori, quattro liberi professionisti, tre medici, una psicologa del lavoro, una funzionaria e una dirigente pubblica. E l’elenco non è concluso.

Sono molto, molto interessato al diffondersi delle idee di autodeterminazione e indipendenza della Sardegna tra le fila di quella che, nonostante le diatribe terminologiche, posso chiamare solo borghesia. E sono interessato perché, come ho già scritto, è questa gente a detenere buona parte delle risorse e del potere necessari a modificare lo stato vigente.

Fino all’altro ieri comporre liste simili, piene di persone di tale gruppo sociale, disposte a battersi preminentemente per gli interessi della Sardegna fuori da qualsiasi alleanza con i partiti italiani e sudditanza verso Roma, sarebbe stato impossibile. Significa che queste persone non hanno più solo le risorse e il potere, ma anche, oggi, la volontà di cambiare le cose.

A me sembra un passo avanti enorme.

La borghesia, molto tempo fa, è nata per strappare ai sovrani assoluti spazi di libertà e costringerli ad obbedire a una Costituzione e creare dei parlamenti. E questo ruolo politico e istituzionale la borghesia ha svolto ovunque in Occidente, mai abdicando ad esso fino a che non otteneva ciò che cercava.

In Sardegna, come sappiamo, ogni tentativo in tale direzione è fallito. Ma i tempi cambiano. Oggi abbiamo di nuovo una borghesia sarda che rifiuta la collateralità al sistema, che col sistema vuole fare i conti. Borghesia non anello di congiunzione tra potere continentale e sardi, ma costruttrice di una Sardegna diversa e originale. Fa una certa impressione dirlo, perché se uomini e donne saranno conseguenti si tratterà di una vera rivoluzione. Sono passati centosettant’anni dalla “Perfetta Fusione” e finalmente il pendolo batte dalla parte opposta. Possono essere per tutti noi i prodromi di un cambiamento epocale.